Gli scrittori servono a farci vedere delle cose che non vediamo. A farci avvertire dentro, in fondo a noi, delle cose che avevamo smesso di sentire. Servono a risvegliarci dall'anestesia, con le carezze o se serve anche con le sberle. Con i pugni nello stomaco. Con delle parole che fanno spazio al silenzio e alla riflessione. Più che rassicuranti e belli da leggere gli scrittori, più che compiacenti, dovrebbero saper essere qualche volta antipatici e presuntuosi, almeno questo è quello che penso io. "Se in Italia si dice di no, si è polemici. Se si mette in discussione una richiesta grottesca si è rompiscatole." Se non si è né polemici né rompiscatole, mai, il rischio concreto è quello di diventare paraculi e uno scrittore paraculo, sempre secondo quello che penso io, è uno scrittore che non serve. C'è un confine netto tra lavoro d'autore e pubblicità, tra corporate communication e narrazione e anche tra giornalismo serio e brand storytelling. E' una linea che si può decidere o meno di scavalcare e ci si può anche giocare a saltarello sopra, se uno lo desidera e ne è consapevole. Ma bisogna essere attrezzati e capaci di gestire la cosa e probabilmente attrezzati meglio di tutti - attrezzati a comprendere - dovrebbero essere i lettori e questo è un lavoro che si fa con la cultura e con la scuola. Se a scuola non ti insegnano la differenza, se qualcuno disinteressato non ti insegna a riconoscere quella linea, è dura. E poi di più ancora, più capaci e consapevoli ancora dovrebbero essere i comunicatori, quelli cioè che il lavoro degli autori e degli scrittori, le loro parole e le idee, le usano per professione per narrare brand e imprese. Per vendere, insomma. Comunicazione e narrazione, giornalismo e narrazione, content creation e reportage forse mai come adesso vivono una relazione ambigua. Pericolosa. Mi pare che siamo al punto in cui anche chi dovrebbe essere attrezzato, capace di comprendere dove è posizionata esattamente questa linea di confine, si capisce che non lo è. A forza di essere disinvolti sul tema non sappiamo più distinguere tra vero e verosimile, tra storytelling e informazione, tra persone e personaggi. Per fortuna che c'è qualche scrittore ogni tanto che oltre a scrivere dei bei libri dice anche delle cose che fanno riflettere, facendo delle cose "da rompiscatole", non necessariamente convenienti. Non sempre giusto e conveniente coincidono, se sei uno scrittore e sei nella cinquina finalista del Premio Strega ad esempio, e dici una cosa come quella che dice Matteo Nucci, ti metti cioè a dissertare su "defezione" e "non adesione" o su "comunicazione" e "pubblicità", che è un dettaglio che si mette inevitabilmente in conflitto con i tuoi interessi personali e con quelli della tua casa editrice e con quelli dell'organizzatore del Premio e con quelli di uno dei main sponsor del premio, devi necessariamente essere uno con una bella testa. E anche un rompicoglioni certo, ma mica deve essere facile. Meno male che c'è anche qualche scrittore così, che ha il coraggio di rendersi antipatico di riflettere ad alta voce. In fondo il mestiere dello scrittore è proprio questo, non ha mica a che fare con lo scrivere soltanto. Si tratta di fondare degli universi in cui ogni cosa occupi un proprio posto. Creare dei contesti di pensiero dentro cui gli altri possano ragionare. Poi l'essere d'accordo e allineati o meno, quello è un altro discorso. Il non-allineamento è un lusso che la scrittura e la lettura possono concedersi. Il marketing, no.
http://www.minimaetmoralia.it/wp/partecipare-al-premio-strega-significa-far-pubblicita-alla-toyota/
martedì 27 giugno 2017
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