lunedì 14 gennaio 2013

ALTRI DIFETTI ANCORA.


Una volta stavo scendendo in bici da Selvino. Era luglio, circa fine luglio. Saranno state le tre del pomeriggio. Faceva caldo, ma un caldo. A un certo punto dopo un tornante avevo preso la borraccia e mi ero versato dell'acqua in testa per rinfrescarmi. E poi avevo bevuto. Della buona acqua fresca che avevo preso alla fontanella su in cima. Stavo mettendo a posto la borraccia, la stavo fissando sul portaborraccia sul telaio della bici quando mi è scivolata dalle mani, mi è caduta per terra. La borraccia ha cominciato a slittare e a girare e a rotolare che sembrava impazzita, si rigirava su se stessa come una biscia, non so se la avete mai vista una borraccia da ciclista mezza piena che cade in corsa sull'asfalto, dovreste vederla una volta almeno, sembra viva, sembra che ci sia una forza dentro, o qualcosa di animato, di vivo. 
Che effettivamente c'è. 

E' l'acqua.

La borraccia ha attraversato la carreggiata, ha sbattuto contro un muretto e poi è scivolata giù, ancora giù lungo una canaletta di cemento a bordo strada. Meno male che non vengono macchine, avevo detto. Niente macchine. Invece c'era uno vestito di nero, uno biondo con una maglia attillata nera e dei pantaloncini neri che veniva su di corsa dalla strada. Uno che stava facendo una corsa di allenamento in salita. Con quel caldo. La strada Nembro-Selvino è lunga undici chilometri, sono seicento metri di dislivello. Lui si era chinato in avanti, aveva raccolto la borraccia e me l'aveva portata e consegnata tra le mani. Io ero lì e stavo quasi per raccoglierla, la mia borraccia, ero fermo con la bici in mezzo  alle gambe, avevo attraversato la strada e avevo messo i piedi a terra e stavo in piedi in quella posizione strana a cui ti costringono le scarpe da bici con le tacchette; ero lì con le mani appoggiate sul manubrio e con le gambe larghe. Lo guardavo, questo qui biondo vestito tutto di nero. Anche le scarpe, nere. Tutto sudato, era bagnato fradicio. Gentilissimo. Grazie gli ho detto. Di niente, mi ha detto lui, poi ha ripreso a correre. Ho messo via la borraccia nel portaborraccia. Ci siamo guardati e salutati e sorrisi e poi lui si è girato dalla sua parte e ha continuato a correre in salita, io ho ripreso a scendere per la strada. 

Faceva un caldo, ma veramente un caldo.

Poi una volta, tanti mesi dopo ma forse anche un anno dopo o anche di più, non mi ricordo, un giorno mentre facevo una doccia, una bella doccia rinfrescante, mi è venuto in mente improvvisamente quella cosa lì della borraccia che mi era caduta perterra e di quella giornata calda e di quello lì tutto vestito di nero che correva i salita con quel caldo, mi era venuto in mente di quel ragazzo che mi aveva raccolto la borraccia e che me la aveva ridata e che poi aveva ripreso a correre senza chiedermi niente, neanche un sorso da bere. Neanche una goccia. Magari non aveva avuto il coraggio. Pensavo, mentre ero sotto la doccia: ma tu non potevi offrirgli un po' d'acqua, a quello lì? possibile che non ti sia venuto in mente? Che non ci hai pensato, che di sicuro ma di sicuro aveva sete? Moriva di sete, probabilmente. Ma non ti vergogni? neanche un po' di acqua? E lui non ha neanche chiesto, mi ha solo guardato, ha sorriso e poi è andato via. 

Mi sono vergognato. Vergognato tantissimo. Ero lì sotto la doccia con l'acqua che veniva giù sulla faccia e sulle spalle e sulle gambe, e mi vergognavo. Perché quello ad esempio, è stato un errore. Un errore grave. Gravissimo. Di più di un errore, un difetto. Un difetto proprio del mio carattere, della mia persona, un difetto di me. Che non sono stato pronto a dare, subito, senza pensare. Per me quello li che correva su dalla strada con quel caldo e che non mi ha chiesto niente non era un uomo, io penso di no. Per me forse era Dio. Cioè. Era un uomo ma era anche Dio, in quel momento. Dio che mi faceva una domanda. Che voleva farmi capire delle cose, io credo.

Tutti sono Dio, certe volte.

Adesso probabilmente sono cambiato. Adesso credo che sarei più pronto. Sarei diverso, reagirei in modo diverso. Ecco. E' grazie a quell'errore, a quel difetto di fabbrica e anche ad altri difetti che ho, se adesso sono diventato pronto. Se ho capito certe cose. 

E' facendo gli errori che si impara. Si impara attraverso i propri difetti, è come se i nostri difetti fossero la porta attraverso cui entrano dentro di noi il mondo e le cose della vita che non sappiamo ancora o che non capiamo. E' grazie ai difetti, grazie agli errori e al fatto che a un certo punto li riconosciamo come tali, come sbagli, che andiamo avanti e proviamo a cambiare. Che miglioriamo. Perché non è mica facendo le cose giuste al primo colpo, sempre, che si impara. Che quella è una fregatura, delle volte. Quella di fare sempre tutto giusto.  Quella di non sbagliare mai. 

Quella alla lunga, è una sfortuna.

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