martedì 23 settembre 2014

UNA BUSTA GIALLA. MORBIDA.

Ogni tanto capita ancora che arrivi una busta. Inaspettata. Non una cosa che hai ordinato elettronicamente o la versione cartacea di qualcosa che ti hanno già comunicato via email. Una busta, di carta. Una busta gialla morbida che non sai esattamente cosa contenga e che corrisponde a un essere umano, da qualche parte su questo pianeta, che si è preso la briga di impiegare alcuni minuti della sua giornata per mandare qualcosa a te. Esattamente a te.

Ha preso quella cosa che ti voleva mandare, l'ha messa dentro alla busta, l'ha chiusa accuratamente con la colla e con la lingua, con lo scotch, ci ha scritto sopra il tuo indirizzo, ha cercato le chiavi dell'auto dove le aveva messe ed è uscito di casa, ha guidato fino alla posta, ha cercato parcheggio, ha parcheggiato, è entrato nell'ufficio postale tenendo la busta in mano e ha fatto la fila, c'era quell'odore di timbri e di polvere negli angoli della stanza e lui, o lei, mentre aspettava, è restato lì in fila pazientemente a respirare quell'odore, fino a quando è arrivato il suo turno, si è ritrovato davanti allo sportello e ha parlato con l'impiegata, ha mostrato la busta e ha pagato quello che bisognava pagare, lui o lei ha tolto le banconote dal portafoglio e le ha fatte passare sotto al vetro insieme alla busta. La busta è partita. Inviata. Poi mentre la busta iniziava il suo viaggio verso di te lui, o lei, è tornato a casa. Ad attendere.

Non è una attesa vera e propria questa: il tempo che la busta arrivi dove deve arrivare. Intanto uno va avanti a fare le proprie cose, l'attesa in questo caso è un pensiero di sottofondo. Una specie di ricordo che già si proietta nel futuro. Una cosa che hai mandato (passato) arriverà (futuro). Che strano. Una busta di carta che viaggia con la posta, a quanto pare, non conosce il tempo presente. Forse è per quello che ci sembra sempre che la posta non funzioni, che sia in ritardo, perché a una cosa passata corrisponde nella nostra mente un'altra cosa che non è ancora successa: la consegna. E' una specie di corto circuito dei pensieri.

Le mie preferite sono le buste gialle, quelle un po' imbottite, che se le schiacci un po' tra le dita puoi tentare di indovinare cosa c'è dentro. Un libro. Un dvd. Un plico di fogli. Un mazzo di chiavi, una chiavetta usb. Non so. Quando me ne arriva una di busta prima di tutto me la godo un po', me la tengo lì sulla scrivania e prima di aprirla me la studio. Osservo la cura con cui è stata chiusa, la precisione o la fretta - a secondo - con cui l'indirizzo è stato scritto sulla busta, a penna o a pennarello, nero, di solito. Osservo bene la calligrafia, l'andamento delle linee, la dimensione e la forma del carattere, la forza con cui il pennarello è stato premuto sulla carta. Guardo i francobolli e i bolli, ogni busta ha la sua storia e quella storia è scritta negli angoli sgualciti, nelle note del postino scritte con la biro blu, nei timbri. Ti è arrivata la busta, non l'hai ancora aperta e sai già un sacco di cose di chi te l'ha mandata, anche se non lo conosci.

Chi sarà?

Poi alla fine la busta la apri. Per forza. C'è dentro una cosa, non importa cosa. Qualsiasi cosa. La tiri fuori. Un po' ti dispiace che sia tutto finito, quella sensazione magica. Dura poco, il tempo di aprirla, la busta. Se dentro c'è un bigliettino lo leggi, veloce, poi metti via tutto, di nuovo dentro alla busta.

Poi dopo quando sarai tranquillo rileggerai il biglietto ed eventualmente farai una telefonata, per dire grazie o per dire qualcosa. Qualcosa bisogna sempre dire. Dall'altra parte del telefono lei o lui ti dirà "Ah, è arrivata?". Sì, è arrivata. Poi dopo quella busta, ti dispiace buttarla via. Perlomeno, a me dispiace. Io in effetti io le tengo quasi tutte, le buste che ricevo. Almeno per un po'.

 Poi certo, alla fine le butto.

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