venerdì 1 maggio 2015

IL MANTELLO DI SUPERMAN.

"Ero nel garage di Walter Bonatti, che da qualche tempo non c’era più. Stavamo cominciando a prenderci cura delle sue cose e del suo archivio personale facendone una sorta di grossolano inventario iniziale. Nel suo garage Rossana aveva radunato delle scatole di cartone che aveva rinvenuto da qualche altra parte, le scatole contenevano dei vecchi numeri di Epoca e dei ritagli di giornale. Secondo Rossana, lì in garage, non c’era probabilmente nient’altro di cui occuparsi. Mi guardai in giro, intorno c’erano degli oggetti di uso comune che si possono rinvenire in qualsiasi garage di qualsiasi casa del mondo. In fondo al garage c’era una tenda tirata che penzolava dal soffitto e che nascondeva il fondo della stanza, chiesi a Rossana là dietro cosa ci potesse essere. Lei ci pensò un attimo e poi mi disse che non c'era niente di particolare, soltanto vecchie cose, non ricordava nemmeno bene. Guardammo. Scostammo la tenda e dietro, in perfetto ordine su uno scaffale, c’erano le scarpe di Walter Bonatti. C’erano scarpe di tutti i tipi: scarponi da montagna usati e meno usati, pesanti e meno pesanti e poi riconobbi tra tutte quelle paia di scarpe, i suoi anfibi. Quelli alti, in pelle, che avevo visto nelle fotografie delle sue avventure in Zaire, In Kongo, in Nuova Guinea, sull’Alto Orinoco. Provo a spiegarvi come mi sentii io, in quel momento. Era come se Superman fosse morto e io, che ero stato chiamato lì nella sua casa a guardare tra le sue cose, mi fossi imbattuto nel suo mantello. Il mantello di Superman. C'era il mantello ripiegato e in ordine dentro a un cassetto, senza più Superman, e poi c’ero io. Voi, come vi sareste sentiti?” 

Foto © Archivio Bonatti - Venezuela, 1967

Ieri alla FIERA DEI LIBRAIAngelo Ponta, che è curatore del libro "Walter Bonatti - Giorno per giorno, l’avventura" è venuto a Bergamo all’Auditorium di Piazza della Libertà portando con sé alcune fotografie di Bonatti da proiettare sul grande schermo. Oltre che mostrare queste straordinarie immagini e parlare un po' del libro e della mostra allo Spazio Tadini di Milano (oltre 40.000 presenze), tra le altre cose Angelo ha raccontato questa storiella che a me ha fatto venire la pelle d’oca. Ero seduto sul palco accanto a lui e quando ha finito di dire questa storia avrei voluto avere il coraggio di alzarmi e abbracciarlo e di stringerlo. Tenerlo lì stretto un momento e dirgli grazie, per quello che aveva appena detto e per la cura che si prende dell’Archivio, dentro a cui ha compiuto e continua a compiere una vera e propria esplorazione storica e letteraria. E’ grazie anche al suo lavoro che la memoria di Bonatti viene costruita e protetta. L'archivio di Walter Bonatti è al momento custodito nel caveau di una banca in Valtellina, ci ha detto Angelo. Si tratta di libri, di note, di appunti, quaderni, stampe fotografiche e fotografie digitali che prima che sia troppo tardi, prima che siano deteriorate per sempre, bisognerebbe prendersi la cura di digitalizzare. Ci sono circa 90.000 fotografie. Se fossimo in un paese diverso dall’Italia questo lavoro sarebbe già stato fatto per intero, noi invece siamo ancora quasi fermi alle celebrazioni e ai tagli di nastro una volta ogni tanto e alle querelle legata alla vicenda del K2 o del Freney. Se non ci fosse il lavoro prezioso di persone come Angelo o Alessandro o di altri che conosco e che hanno voluto bene a Bonatti e che continuano a volergliene, il suo patrimonio culturale lasciatoci in eredità andrebbe pian piano perduto. Dimenticato. Peccato che ieri all’Auditorium in Piazza della Libertà, dove eravamo davvero in troppo pochi per la portata dell'evento, non ho visto nessuno dei dirigenti del CAI cittadino. Ogni volta che una manifestazione culturale legata alla montagna, a Bergamo, prova a prendere corpo fuori dalle mura della Casa della Montagna, è quasi sempre così. Ieri forse questa assenza istituzionale che era impossibile non notare era per via del week-end lungo che era appena iniziato. E va beh. O forse era per colpa di qualche riunione di commissione importantissima che non si poteva rimandare. O forse al CAI erano troppo presi con i tortellini del ristorante del Rifugio in città. Peccato però. Per Walter. Per l’alpinismo e per gli appassionati di montagne e di avventura della nostra città. Sarebbe valsa la pena esserci, anche solo per quelle straordinarie foto proiettate sullo schermo gigante e per sentire Angelo raccontare la storia del mantello. Io a un certo punto, quasi quasi, piangevo. - 

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