Diciamo che all’inizio del corso i compiti sono stati semplici. Semplici da capire, e semplici da fare. Si è trattato finora solo di conoscersi tra noi e di stabilire un metodo, di definire dei riferimenti comuni, niente di più. Perché, a meno che uno abbia una percezione di sé un tantino eccessiva o sia megalomane, è proprio difficile immaginare di scrivere qualcosa come la sanno scrivere Jonathan Coe, Domenico Starnone, Alessandro Baricco, giusto per citare in rigoroso ordine cronologico i primi tre docenti che mi sono capitati davanti. Difficile immaginare anche solo di tenergli la scia. Diciamo che il primo compito era un generico invito a provare a scrivere qualcosa stando al centro della narrazione, a stabilire un ritmo, a rispettare una lunghezza e un tema. Un po’ come vedere due ragazzine che fanno girare la fune e cercare di cogliere l’istante esatto per buttarsi dentro e per tirare su le gambe. Provare a saltare sopra quella linea bianca sfocata lasciando al ritmo della storia il compito di girarti intorno, senza interrompere, provando a non inciampare. Ecco, più o meno quello.
Da quando il corso è iniziato ho soprattutto letto. E poi sullo slancio dei compiti ho scritto qualcosa di mio, senza pretese, cercando di fissare le idee. Non le ho fatte vedere a nessuno, le mie storie, non è questo il punto. Le ho scritte per me. La conquista più grande è stato capire che posso anche parlare d’altro. Altro rispetto alle montagne, rispetto alla neve e soprattutto rispetto al mio punto di vista. Posso addirittura cambiare punto di vista, scrivere delle cose che non penso. Scrivere delle cose come le penserebbe uno che non mi piace, uno che odio o magari invece, come le scriverebbe uno che stimo; un essere umano migliore di me, ad esempio. Scrivere è bello perché non ti impone di essere ma ti obbliga a sentire. Ti spinge a capire. Devi ascoltare te stesso e sentire gli altri, scavare nelle situazioni e nelle sensazioni, anche in quelle apparentemente banali. Devi analizzare tutto e soprattutto una cosa: devi studiare.
E francamente un po’, lo studio, mi mancava.
mercoledì 24 novembre 2010
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