venerdì 7 gennaio 2011

LA FUNIVIA. | Un racconto.

Tu sei salito per ultimo. Sei rimasto lì fuori ad annusare l’odore di quella gomma nera piena di buchi che veniva su dal pavimento, poi sei entrato. Hai sgomitato un po’ e hai trovato il tuo spazio tra la gente. Le porte sono scivolate dietro di te, il conducente ha dato una spinta alla maniglia e ha controllato la chiusura. Poi si è dondolato indietro e si è seduto al suo posto dentro a una gabbia fatta di tubi di alluminio, un po’ di traverso, con la spalla destra appoggiata al montante della cabina e le gambe incrociate. Ha premuto un tasto rosso illuminato e dopo un attimo la funivia si è messa in moto. Lui ha abbassato subito lo sguardo e ha iniziato a giocare con un pezzetto di carta stirandolo tra i pollici. Tu gli hai subito guardato gli scarponi, sono quelli che aveva l’anno scorso. Gli stessi. Anche il movimento nervoso del suo piede è sempre lo stesso dello scorso anno. Ti sei appoggiato con la schiena e con la testa alle porte scorrevoli, proprio in mezzo, dove c’è quella guarnizione nera con cui si uniscono le due metà. E ora guardi in alto, verso il soffitto della cabina. Respiri. Otto minuti e sarai su, gli altri ti stanno aspettando. Guardi intorno. A fianco a te c’è un tipo vestito di bianco e di nero, piuttosto attillato. Giacca a vento corta, una specie di giubbino. Gel sui capelli, niente berretto. Profumo di dopobarba. Occhiali viola fumé tipo grande fratello, ha una dolcevita sotto. Nera. Stringe due paia di sci tra le mani, cortissimi, sono presi al noleggio, si capisce. E’ senza guanti. Ha le dita un po’ pelose e sul quarto dito della mano destra ha un anello d’oro di forma quadrata, con un rubino nell’angolo, uno piccolo. E un braccialetto argento a un polso, una catena, abbastanza grossa. Chissà che mestiere fa? Il meccanico, probabilmente. O forse il commesso in un negozio di abbigliamento. Si gira a destra e fa un sorriso a una ragazza con indosso una giacca in piumino color argento. Lui le chiede come và, rimbalzando con la voce sull’accento finale. Vuole essere gentile, si vede. Lei non lo guarda e non sorride. Non gli sorride proprio, anzi, sembra incazzata. Sicuro che non ha voglia di sciare. O forse era incazzata già da prima, da ieri sera o forse da sempre. Forse è una che è sempre incazzata - a certe donne capita. Non è molto alta, però è carina. Molto carina. Capelli neri lisci, un paraorecchi di quelli ridicoli con il cerchietto e con quei batuffoli di peluche bianco ai lati. Lei ha un buon profumo, di fresco, lo stesso della segretaria del tuo dentista. Tiene due paia di bastoncini tra le mani in modo un po’ goffo – ha i guanti, a paletta – e la giacca a vento un po’ aperta sul davanti. Si, sicuro che lei e il tipo stanno insieme. Lui se la fa. Non da molto, però. Anche lei ha una dolcevita sotto, anche lei nera. Si intravedono le bretelle dei pantaloni che deviano intorno al seno. Due belle tette, ma non tanto grosse. Però sembrano sode. Cerchi di non fissarle, fai finta di niente e ti giri con la testa. Guardi un po’ fuori in diagonale, giù verso il basso, oltre quei due strati di plexiglas tutti rigati. Gli alberi sono già tutti imbiancati, c’è più neve dello scorso anno, molta di più. E c’è più gente del solito, i piazzali già quasi pieni, per questo dove metti la macchina di solito non c’era più posto oggi, sei arrivato un po’ tardi. Ti è toccato parcheggiare più in giù e fare un bel pezzo di strada con gli sci in spalla. Ora sei sudato. Lo senti il sudore che si raffredda sulla schiena e sulle cosce. E anche alla testa senti caldo, vorresti toglierti il berretto ma no - meglio di no. Guardi ancora fuori, ora c’è il terzo pilone, whoooof, senti un’onda nello stomaco, quando eri piccolo ci andavi matto per questa cosa delle budella che vengono su. Qualche donna lancia un urletto, senza vergogna. Anzi. Vedi l’altra cabina sfrecciarti a lato, scendere e sparire via. Metà strada. Alla tua destra c’è un ragazzino dello sci club un po’ sovrappeso con uno zaino gigantesco in spalla. Parla con due amici della sua età vestiti come lui e mastica una gomma a bocca aperta, lo hai notato prima, mentre aspettavi. Tutti e tre hanno già il casco calcato in testa e la maschera abbassata. Lente azzurra, contorno degli occhi deforme, il volto sudaticcio. Non è stato zitto un attimo quel ragazzino, da quando si sono chiuse le porte. Gli altri due ascoltano e ti guardano. Tu li guardi. Ridono. Capisci che stanno ridendo di te, allora tu fai finta di niente e ti giri un po’di lato, guardi via. Poi cominci a spingere all’indietro quello che hai più vicino, il ciccione. Però non subito, lo fai dopo un po’, dopo qualche secondo. Non lo spingi con cattiveria, però lo spingi, deciso, appoggiandoti progressivamente al suo zaino. Inesorabilmente, in fondo tu sei più grosso. Lui smette di ridere e anche se non lo vedi, lo senti che è fuori equilibrio e che si deve tenere ai suoi amici per non cadere. Ora non parla più. Che bastardo che sei. Ora a fianco a te, alla tua destra, hai un signore molto alto con i capelli bianchi - quasi gialli a dire il vero, non molto puliti - con una fascia paraorecchie rossa di lana e anche lui con un paio di sci cortissimi, con gli attacchi da alpinismo, quelli ultraleggeri. Se ne andrà a farsi una gita, ha le pelli già montate. E’ da solo? Si, è da solo - sicuro. Ha gli scarponi arancioni slacciati, la barba non fatta e guarda fisso davanti a se rigirando la lingua intorno ai denti. Ha un alito agghiacciante. Deve essere tedesco, senz’altro. Un professore di scuola superiore. O un ingegnere. O un autista di autobus, forse. Nell’angolo dall’altra parte della cabina ci sono tre snowboarder. Uno ti saluta sollevando le sopracciglia, lo hai già visto in park altre volte, tu rispondi sollevando la mano con un gioco di polso. I tre snowboarder non parlano, sono fermi immobili, tutti e tre con la musica nelle orecchie, ognuno per conto suo. Si guardano. Uno di loro ascolta la musica nelle cuffie a volume altissimo, sta ascoltando una canzone degli Hot Chili Peppers. E’ “Scar Tissue”, anche quelli lì intorno la sentono, anche la ragazza carina. La stanno seguendo tutti, quella canzone. La seguono con il pensiero, in silenzio.

Push me up against the wall /Young Kentucky girl in a push-up bra /Fallin’ all over myself /To lick your heart and taste your health ’cause / With the birds I’ll share / This lonely view...

Nell’altro angolo della cabina, giù in fondo, senti qualcuno che parla di multe e di polizia e di autostrade e poi c’è una ragazza che parla di un film che ha visto ieri sera in tv. E poi degli uomini che ridono e scherzano in tedesco o forse è un’altra lingua. Probabilmente è polacco, si, è polacco – sono polacchi. Poi la cabina rallenta. E poi si ferma. Le porte non si aprono subito, c’è qualche secondo di pausa, come un’esitazione della meccanica, un istante di nulla collettivo. Qualche secondo di silenzio ancora e il conducente sblocca la maniglia poi tira la porta verso di sé e tutti ricominciano a parlare. Apre e scende per primo con una specie di giravolta, tu gli hai fatto spazio. Poi tocca a te scendere, fai un passo e giri a destra, poi ancora quattro passi e giri ancora a destra intorno alla cabina e poi entri in un corridoio semibuio. Senti tutti gli altri che ti seguono, che camminano goffamente dietro di te affondando i talloni e le punte degli scarponi dentro quella gomma maleodorante e poi arrivi davanti a una porta a vetri che ti si apre davanti. Fuori ci sono tutte le ragioni per cui sei lì. C’è il sole. C’è l’aria fredda. Ci sono le montagne e il cielo azzurro. C’è la neve, la annusi e la senti scricchiolare sotto i piedi. I tuoi amici non si vedono in giro, probabilmente sono al bar. Ancora al bar. Allora ti prende una voglia fortissima di farli aspettare e di andare via, lontano da tutte quelle persone che hai osservato dentro la funivia, lontano da tutti quei rumori e lontano da tutti quelle cose che hai visto. Lontano da quelle vite mescolate nel caos e lontano da tutti quei pensieri che non riesci mai a fermare. Allora prendi gli sci, li liberi dalla presa degli ski-stop, li butti a terra di piatto e ci monti sopra. Chiudi gli attacchi e ti spingi via, giù, in discesa. Prendi velocità. Aria. Ti farai un giro da solo, ne hai bisogno.
Per essere felice.

Pubblicato su 4Skiers n.16 - Dicembre 2010

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