Dall’uscita di FREE.rider sono passati dieci
anni esatti. In edicola prima di FREE.rider a parlare di uno sci un po’ “diverso” c’erano
gli Speciale Sci della Rivista della Montagna di Giorgio Daidola, una volta all’anno
e poi nient’altro. Gli sci larghi 80 mm erano sci fat, introvabili se li
cercavi. “Si usano in Canada” ti dicevano se provavi a chiedere “da noi non
vanno bene”. Discorso chiuso. Allora c’erano gli sci-alpinisti, lo sci estremo,
lo sci in pista e stop. Tutto
quello che c’era in mezzo, la commistione tra sci, snowboard, telemark, sci
ripido, sci su pista - che è quasi tutto quello che c’è adesso - allora non esisteva.
A ben vedere soprattutto non c’era la disponibilità di una certa generazione di
sciatori - la mia, o quella un po’ prima della mia - a rimettersi in gioco. Accettare
che tante parole di questo modo di sciare fossero inglesi, ad esempio. Non c’era
la disponibilità di accettare il freestyle e il suo modo così splendidamente superfluo,
esibizionista, per certi versi inutile di intendere lo sci, esattamente per quello
che è: gioia pura. Un gioco con la neve. Allora sciare significava o
soffrire, o gareggiare. Oppure fare del turismo di massa, certo. C’erano o gli
alpinisti o i pistaioli. O stavi di qui, o stavi di là. In mezzo c’era
il nulla. Nulla di cui si potesse leggere. Io ho inventato la
rivista ma quello è stato niente, credo. Io forse, se proprio ho
inventato qualcosa, ho inventato l’idea che anche in Italia si potesse sciare e
soprattutto parlare di sci in un altro modo. Anche in un altro modo, dico. A tanti allora questa cosa dava
fastidio. Forse anche adesso, ma ora le cose sono cambiate. Quella generazione,
quel nocciolo duro di scettici e di ostili al mio progetto ora hanno dieci anni
in più. Sono invecchiati. Un po’ si sono inteneriti, un po’ lo vedono anche
loro come sono andate le cose. Io solo me ne sono accorto un po’ prima che le
cose stavano cambiando. Forse, soprattutto, ho immaginato prima di altri il come le cose sarebbero cambiate. Ho
visto delle possibilità.
Prima c’era FREE.rider, che ora non
c’è più. Ora c'è SOUL.rider. C'è 4Skiers. C'è Ski-Alper. Sciare e Sci parlano a loro volta regolarmente di
freeride e di scialpinismo. Ci sono i video e le premiere, le webseries su
internet, facebook, le aziende che spingono, gli eventi, un’altro modo di vestirsi, una
nuova voglia di viaggiare sulla neve. Una volta per fare un viaggio sugli sci
dall’altra parte del mondo dovevi essere un atleta di Coppa del Mondo o uno che
andava in spedizione. Oggi ci vanno tutti a sciare in giro per il mondo.
Insomma, oggi è tutto cambiato. Diverso. Più facile. Io e i miei editoriali non serviamo più. Alla fine a un lettore quella
sensazione di maggiore “rilassatezza”, quella sensazione di qui e ora fa quasi
piacere. Senza stress, senza menate. Per questa nuova generazione di sciatori e
di lettori non c’è più un prima o un dopo. Non c’è la old school e la new
school. C’è quello che c’è, questo, e basta. E’ un’altra epoca, adesso.
C’è un’altra cosa ancora, la seconda. Anche
io senz’altro sono cambiato. Sono più rilassato adesso. Distaccato. Ora sento
di non dovere dimostrare niente a nessuno. Mi sono convinto che io il mio
lavoro lo so fare. E infatti lo sto facendo, quello che volevo fare. All’inizio essere direttore di FREE.rider era quasi una
guerra, una battaglia costante, perché dovevo sempre dimostrare qualcosa, spiegare e rispiegare idee, convincere qualcuno e poi essere “duro”.
Tenere botta alle critiche, ai giudizi, alle domande, alle gelosie, alle
frustrazioni di tanti che avrebbero voluto essere al mio posto. Poi alla fine
ho capito che il nostro è il paese di 60 milioni di Commissari Tecnici della
nazionale di calcio. Tutti pensano di sapere come si fa, a fare funzionare le
cose. A vincere. Tutti parlano, criticano, giudicano. Specialmente giudica, la
gente. Di solito senza esporsi. Il giorno dopo la partita tutti sanno cosa
bisognava fare. La sostanza è che lui, il CT, è sempre e soltanto uno. A lui non si chiede di
individuare cosa non funziona - quello lo vedono tutti - a lui si chiede di
fare in modo che le cose funzionino. Di vincere. Gli si chiede di vedere delle cose
che altri non vedono. Ipotizzare strategie, tattiche, schemi di gioco.
Soluzioni. E lui, il CT, se vuole fare bene il suo mestiere deve pensare soltanto
a quello: a fare il commissario tecnico. Il CT deve guardare molto più avanti
degli altri. Ignorare le critiche sterili, filtrare quelle intelligenti. Ascoltare i consigli, quelli di
tutti. E poi decidere di testa propria. Prendere le proprie responsabilità. Il
CT deve rimanere concentrato, lucido, efficace. Distante. Degli altri non si deve
preoccupare. Gli altri seguono. Oppure se preferiscono, vanno avanti da soli.
Ecco, io l’ho vissuta così la nascita di FREE.rider
dieci anni fa, e quella di SOUL.rider l’anno scorso. SOUL.rider
soprattutto è una cosa che dovevo fare, per mettere un punto. Ho aiutato a farla partire, ci ho
messo il cuore, ho aiutato i miei amici. E' stato bello. Però io adesso ho altre cose da fare.
Vedo altre cose. Ho altri progetti in testa, altre idee, altri sogni, altri
viaggi da fare, altri racconti da scrivere. Perdonatemi, ma voglio essere libero.
A fare la traccia con le riviste adesso è ora che ci pensi qualcun altro. Adesso andate avanti voi. Per un po’almeno.
A fare la traccia con le riviste adesso è ora che ci pensi qualcun altro. Adesso andate avanti voi. Per un po’almeno.
Io poi vi seguo.