A capire davvero Bonatti fino in fondo, fino a qualche anno
fa, credo fossero in pochi. Tutti hanno conosciuto il suo talento di alpinista,
di scalatore e di esploratore. Ammirare quello era facile. Tanti altri ancora,
alpinisti e non, hanno goduto della sua capacità di narrare, leggendo i suoi
libri e ascoltando i resoconti delle sue esplorazioni. In molti meno credo, anche tra gli
alpinisti, immaginavano che il suo modo romantico di interpretare l’avventura potesse
rappresentare anche il futuro remoto dell’alpinismo. Ora siamo tutti
consapevoli del concetto: esplorare, dentro e fuori di noi. Tutti dovremmo
saperlo perlomeno, cosa significa. Grazie a lui oggi possiamo sapere cosa è moderno,
di avanguardia e cosa no, nell’alpinismo, nell’esplorazione, nell’arte del
racconto. Possiamo anche fare finta di non saperlo, ignorare le sue anticipazioni,
le sue visioni, le sue intuizioni. Ma così è. Oggi tutto è chiaro. Walter Bonatti ci ha insegnato che la qualità
e la classe di un uomo – oltre che di un alpinista - risiedono nella estrema
polivalenza e non nella estrema specializzazione. Di lui ho ammirato il coraggio,
la capacità di ascoltarsi, la capacità di raccontare, la genuina voglia di
conoscere e di esplorare. E la discrezione. Ho ammirato soprattutto, dopo la
celebrità, la sua vita di uomo in grado di raccogliere altre sfide, in grado di
attendere, in grado di stare a guardare. Per me era un grande. Mi ha insegnato
a sognare. Grazie, Walter.