Mezz’ora al massimo. Non un minuto di più. Poi esco in bici.
Stamattina dovevo consegnare un lavoro. Poi farne un altro prima di domani sera, che invece è saltato. Mi hanno detto che non serve più. E allora mi ritrovo un po’ di tempo libero per annotarmi questa cosa a cui ho pensato. In mezz’ora. Riguarda i social network e la nostra percezione della realtà. Le foto e le cose che scriviamo negli aggiornamenti di stato. Ci pensavo in questi giorni.
Guardavo le foto che i miei amici postavano su facebook – in estate in vacanza, tutti scattano più foto - e cercavo di farmi una domanda. Chi sono i miei amici? E che punto di vista è, il loro? Quello dei miei amici, intendo dire. Quale è la loro voce, quando scattano e pubblicano una foto o magari quando aggiornano il loro status? Come raccontano? Cosa hanno da dire?
Ci sono alcuni amici che postano foto di sé stessi ovunque. I conquistatori, li chiamerei. Al mare, in montagna, negli Stati Uniti, davanti all’AppleStore – va bè…- in Thailandia, davanti a un mounumento o a una strada riconoscibile. In cima a una montagna. O in qualche altro posto figo. Uno di quei posti che hanno sognato per tanto tempo. Uno di quei posti che se lo raggiungono sono convinti che si sentiranno meglio, in equilibrio. Felici. Giusto perché sono andati là. Bello, no? Beati loro. Nella foto ci sono quasi sempre loro, per intero, al centro dell’immagine.
Poi ci sono quelli che invece mettono una foto dell’ambiente che hanno intorno e un pezzo di sé stessi. Un piede, una mano, un pezzo di gamba. Un punto di vista soggettivo. Come dire, sono qua e sto facendo questo. Si perché qualcosa questi fanno. Magari anche solo dormono o si riposano o leggono un libro e tengono i piedi incrociati, comunque qualcosa fanno. Non soltanto conquistano un luogo, ma lo celebrano – e celebrano se stessi – gioendo dell’idea di essere in un luogo e soprattutto di fare. Fare, si. Fanno e condividono, per questo postano. La loro anima è in movimento. In subbuglio magari, a volte in retromarcia, comunque in movimento. Di solito fuggono o stanno per tornare oppure tutte e due le cose insieme. Sono alla ricerca di una sensazione, di un ispirazione, di una idea. Sono soprattutto alla ricerca di un determinato stato d’animo secondo me, anche se non sanno quale sia ancora. Non l’hanno ancora messo a fuoco.
Poi ci sono quelli attratti dai programmi di fotoritocco o di foto creativa, tipo Hipstamatic o cose così. Foto che rendono incredibile un posto del cavolo. Ti fanno vedere il mondo da un altro punto di vista, di un altro colore, diciamo. Si sono accorti che magari sono in un posto del cacchio – noiosissimo, senza un metro di verde, a fare cose noiosissime tipo bere caffè da Starbucks o visitare musei o vecchi amici pallosi – e che non c’è niente da vedere, o almeno sembrerebbe, però basta che facciano una foto con Hipstamatic, Toy camera o Camera Bag tra l’ingresso di un accademia e un ristorante et voilà, il gioco è fatto. Qualcosa salta fuori. I primi a sorprendersi sono loro. Dicono, anzi, pensano: ma guarda te, in un posto così del cazzo, che bella foto mi è venuta fuori. Non ci avevo fatto caso. E così la vacanza è salva, e si sentono in un bel posto. Tranquilli. Rassicurati. Sono felici, anche loro. Si rendono conto che è tutta questione di punti di vista. Questi li chiamerei gli attoniti.
Poi ci sono quelli che fotografano come se fossero una webcam vivente. Guardano e fanno vedere. Di solito non commentano nemmeno le loro foto. Le fanno e le postano. Al massimo una didascalia di una parola, tipo: Freddo. Oppure Brrr… oppure: figo. Oppure qualcosa di ironico, tipo: Bella estate calda, questa e tre-puntini-di-sospensione. Di solito fotografano termometri, cartelli pubblicitari, personaggi famosi (in quel caso talvolta compaiono a lato del suddetto), cartelli stradali. Automobili o moto. Insegne luminose, tabelle con i nomi delle vie, ingressi di bar e ristoranti. La loro è una visione del mondo silente.
Poi ci sono quelli che hanno quasi sempre, in quasi tutte le foto che postano, un bicchiere in mano. Un mojito, una birra corona, un chupito. Tra le loro foto del profilo compaiono nel 80% dei casi con un bicchiere in mano, a una festa, in una discoteca, ma se gli chiedi se hanno un problema con l’alcol o con l’altro sesso ti guardano male e ti chiedono se sei pazzo. Loro sono i festaioli. Va bè, a voi non vi calcolo, siete hors categorie. A voi vi adoro.
Poi ci sono quelli che postano regolarmente di sabato e domenica, per fare vedere che in settimana stavano lavorando. Quasi tutti americani, questi. Di solito postano foto di gruppo nelle quali compaiono accanto all’amico più influente o più danaroso e commentano cose tipo : grazie per la splendida serata. Aggiungono anche la @nome_cognome. Io segretamente li chiamo i leccaculo ma qui non si può dire, quindi li chiamerò i compagnoni.
Poi ci sopo quelli che postano le cose con ritrosia. Didascalie o post del tipo “Se non hai niente da fare vatti pure a vedere questo link/video di questa cosa che ho fatto…”. Sembra che dicano: io non volevo neanche dirtelo e non me ne frega niente se clikki su mi piace, ma comunque… Questi li chiamerei i recalcitranti. Si vantano di disprezzare fb e twitter e di non guardare nemmeno la televisione, ma in realtà la loro dipendenza emotiva - ho detto emotiva, non psicologica - è inquietante.
Infine, e sono i miei preferiti, dico davvero, ci sono alcuni/alcune che vedono le cose da un punto di vista inconsueto. Scattano foto – o dicono cose, nel loro status - che ti fanno fermare. Fermare e pensare. Non subito, magari. Fanno si che tu ti fermi un secondo, guardi o leggi e poi resti lì. Inchiodato. Sembra che non ti abbiano detto o mostrato niente, ma poi dopo un po’ ti ritrovi con la tua mente che torna indietro e che va avanti e che comincia a lavorare. Ricorda o immagina o elabora. Pensa. Vede. Ecco, io quei personaggi li amo. Vi amo, si. Vi amo, vi amo, vi amo. Adesso non so esattamente quanti siate, perché io tra i miei 1369 amici di facebook non so con che criterio ne vedo alcuni e altri no. Io alcuni tra voi alcuni li ho individuati, e vi ringrazio. Non faccio nomi. Però vi ringrazio tanto. Per l’ispirazione, per la sincerità, per la gioia. Per la lucidità. Per il coraggio e la spregiudicatezza. E ringrazio anche gli altri, certo, tutti quelli che mi raccontano quello che sentono. Con una foto, con una parola, con uno sguardo intrappolato in un video fatto con il telefonino. Al volo. Anche se la qualità è scadente. Ringrazio tutti quelli che mi emozionano offrendomi un respiro della loro vita.
Tutti gli altri, quelli che mi scrivono per vendermi qualcosa, per chiedermi di clikkare su mi piace, per dirmi che stanno per iniziare i saldi, per chiedermi che scarponi uso, per farmi vedere il trailer del video di freeride più figo del momento, per farmi vedere che loro sono fighi o per farmi vedere che loro sono amici di quelli che nel video fanno cose fighe, e che quindi per la proprietà transitiva sono fighi anche loro, ok grazie, anche a voi.
Però sappiate che a voi voglio soltanto bene. Molto bene, in qualche caso. Ma a voi non vi amo. Scusatemi, a voi, no. Perché voi non riuscite a farmi vibrare l'anima.
27 minuti. E’ ora di andare a pedalare. Ora, vado.
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