domenica 27 novembre 2011

FURGO FOREVER.


Una volta volevo comprare una Mercedes. Mica una Mercedes normale, cosa avete capito. Un furgone. Un Vito.

Mi piaceva da matti il Vito, un tempo. Anche più del VW Transporter. Era un furgone che anticipava i tempi, i mezzi di allora erano il Ford Transit, il Fiat Ducato e lo Scudo. Era appena terminata l’epoca del Bedford, che era il furgone più bello di tutti ma aveva un motore che faceva pena. Pietà, faceva. Beveva, non andava avanti e bruciava la guarnizione della testa ogni ventimila chilometri, un disastro. Uno era anche disposto a comprarselo lo stesso, il Bedford, perché era il più bel furgone di tutti come forma, lo vedevi nei telefilm americani e nelle fotografie degli arrampicatori della Yosemite Valley su Climbing, però un fugone così non te lo ricompravi più una seconda volta se per caso avevi fatto l’errore di prenderne uno. E infatti il Bedford hanno smesso di farlo e la Bedford l’hanno chiusa.

Cosa ci fai tu dei furgoni, vi chiederete? Perché ti piacciono? Facile da dire: perché ci si dorme dentro. Si va dappertutto, a sciare, ad arrampicare, a fare dei giri in bici, ci si lavora dentro ed è sempre come essere a casa. Il furgone è casa. Per questo mi piacciono i furgoni. Una volta – in un momento di rassegnazione, mi stavo un po’ infighettando e arrendendo alla routine di una vita normale - ho comprato una Lancia Phedra e mentre ero lì nell’autosalone che guardavo dentro l’abitacolo il venditore mi faceva notare quanto era spaziosa. Io mentre annuivo mi sono lasciato sfuggire un: ci si dorme dentro benissimo in due, per il lungo. Lui mi ha guardato e ha fatto un attimo di silenzio, poi si è tirato su, si è sistemato la cravatta e ha guardato l’orologio. Mi sono sentito in dovere di rassicurarlo, gli ho detto: “Lei sta vendendo un’automobile, io sto comprando una casa. Non si preoccupi, va tutto bene. La compro”.

Insomma, una volta un bel po’ di anni fa, molto prima della Lancia Phedra e del VW Transporter che ho adesso, avevo deciso di comprare un Mercedes Vito. Non è che a me il marchio Mercedes abbia mai fatto impazzire, un po’ mi dava fastidio che quel furgone così bello lo avessero inventato loro. Però il Vito era il Vito. Parlo di quello a trazione anteriore. Quello di una volta, il primo della serie. Bellissimo. Sono andato in concessionaria per vederne uno. Sono entrato e lì ho scoperto che entrare nelle concessionarie – in certe concessionarie – è come andare dall’avvocato o dal commercialista o  entrare nella redazione di un giornale. Devi farti annunciare. C’era una signorina lì, vestita come la Cuccarini, con gli occhiali. Più o meno della mia età, mi ha guardato subito malissimo. Io avevo un giubbotto di pile della Francital, come tutti i climber, all’epoca. Buongiorno le ho detto, volevo vedere un furgone. Un Vito. Mi fissava senza parlare e intanto io me la immaginavo di notte dentro a una Mercedes parcheggiata davanti al portone di casa dei suoi genitori, che limonava e si faceva mettere le mani tra le cosce da uno più grande di lei, uno con il gel sui capelli. Le ho appoggiato appositamente le mani sul tramezzo della scrivania che separava me da tutto il mondo Mercedes-Benz e da lei. Mani tutte spaccate e gonfie da tanto avevo arrampicato nei giorni precedenti. Le ho messe in mostra in segno di pace, come fosse un biglietto da visita – lei quello mi stava per chiedere, un biglietto da visita. Sono un climber, le ho detto. Manco lo sapeva cosa volesse dire climber, credo. 

“Ha un appuntamento?”

Che appuntamento? no, le ho risposto. Ha sollevato la cornetta del telefono come fosse pesata quindici chili, ha inclinato e scosso la testa per scostare dall’orecchio i capelli appena shampati e mezzo chilo di orecchini e ha composto un numero di tre cifre digitando con il medio. Smalto rosa fresco sulle unghie. Dall’altra parte dell’autosalone ho sentito squillare un telefono e ha risposto uno che secondo me stava facendo la pausa caffè o stava per andare a farla. O forse stava leggendo la Gazzetta. Mi sono immaginato uno con il gel nei capelli e la cravatta scura con un nodo stretto stretto. Uno più vecchio di me. Lui dentro alla cornetta deve avere fatto una domanda e lei ha risposto qualcosa come dire tranquillo me la sbrigo io con questo qui. Quella donna la conoscevo da quaranta secondi e mi stava già sui coglioni. Ha riattaccato e mi ha detto: “Il venditore è fuori per un collaudo, se mi lascia il suo numero di telefono e i dati della sua ditta la faccio richiamare per un appuntamento. La chiamiamo noi.” Ha separato bene le due frasi mettendo il punto in mezzo, ha sfocato la prima frase e fatto luce sulla seconda. 

L a   c h i a m i a m o   n o i , ha sottolineato. Che è il modo di certe donne di dirti addio. 

Si, decisamente la signorina e tutta la Mercedes-Benz mi stavano irrimediabilmente sul cazzo. Non c’è problema le ho detto – e invece c’erano due grossissimi problemi: il primo io dovevo ricominciare a pensare a un’altra macchina da comprare (poi mi comprai una Volvo 240 Polar autocarro); il secondo, loro avevano appena perso un cliente.  P e r    s e m p r e .
(Per sempre scritto alla fine della prima frase, dopo il punto.)

Ok, posso dare un occhiata da solo, al furgone? le ho detto, giusto per rompere i maroni. Tanto avevo già deciso che non lo volevo più, il Vito. Al momento non abbiamo nessun mezzo disponibile, se vuole le do un catalogo. Siete la Mercedes-Benz, l’autosalone è grande come la Esselunga, e non avete un furgone da farmi guardare? L’ho solo pensata quella cosa, ma non ho detto niente. Ho messo sulla faccia un sorriso, l’ultimo della giornata. Lei senza alzarsi dalla sedia ha preso da un tavolinetto lì a fianco un catalogo del Vito e ci ha messo dentro un foglio A4 fotocopiato con le varie versioni e i prezzi. Mentre lo faceva mi sono venute in mente tutte quelle commesse dei negozi a cui quando ero piccolo e avevo sette o otto anni andavo a chiedere se avevano un autoadesivo da regalarmi. A quell’epoca tutti i bambini collezionavano autoadesivi. Quasi tutte mi dicevano di no, alcune invece sbuffando andavano a cercarne uno nei paraggi della cassa e me lo mettevano in mano facendo la stessa espressione che mi stava facendo adesso la Cuccarini.  Un faccia che diceva: sparisci.  Alcune invece sorridevano, ma poche. Però quelle poche sorridevano davvero. Mi amavano per cinque secondi mentre mi regalavano l’autoadesivo, poi tornavano al loro lavoro. Anche io le amavo. Tutte. Ho preso il catalogo, un bel catalogo di carta bianca satinata con un grande logo Mercedes stampato sopra e l’ho arrotolato stretto. Ho salutato, poi mi sono girato e mi sono avviato verso l’immensa vetrata dell’autosalone che dava sul prato esterno. Ho camminato piano. Vicino alla porta a vetri c’era una portaombrelli vuoto, di acciaio inox spazzolato. Un oggetto di design molto bello. Ci ho lasciato cadere dentro il catalogo del Mercedes Vito che ha fatto un rumore metallico che è rimbombato in tutta la concessionaria. Poi sono uscito.

Ieri ho letto sul giornale che Mercedes ha deciso di chiudere Maybach. Maybach sono quelle macchine assurde che sembrano Mercedes ma ancora più inutilmente lussuose e snob e che hanno prezzi assurdi tipo duecentomila euro l’una. Come cazzo si fa a comprare una macchina da 200mila euro che fai guidare a un autista? Mi è venuta in mente la signorina dell’autosalone e ho goduto. Ho goduto pensando che lei ora si sarà ingrassata un bel po’ e che ormai quelle gonne così corte non se le metterà più. E per restare di quel biondo platino nascondendo la ricrescita si dovrà fare la tinta ogni due settimane come minimo. Ho goduto del fatto che la Mercedes-Benz abbia dovuto dichiarare il fallimento di qualcosa. Ho goduto proprio.

Poi un po’ mi dispiaceva, di essere così spietatamente bastardo. Però sono giunto alla conclusione che in fondo è soltanto colpa loro. Se a uno ad esempio piacciono le macchine azzurro metallizzato, una Mercedes mica se la può comprare. 

Voi, l’avete mai vista una Mercedes azzurro metallizzato?
Io, no. Secondo me non le fanno.