L'altro giorno ero al mare, all'Isola d'Elba. Spiaggia di Fetovaia. I miei figli si stavano infilando nella spiaggia a pagamento, con gli ombrelloni tutti in fila, ordinati, con le sdraio, a pagamento appunto. Li ho richiamati. Gli ho detto che noi andavamo dall'altra parte, nella spiaggia libera. Gli ombrelloni tutti in fila avevano una forma strana, una specie di peluria marrone svolazzante (erano quasi tutti chiusi, erano le 5 del pomeriggio e c'era vento). La Giulia che è quella tra i miei figli che fa sempre più caso ai materiali e ai particolari mi ha detto Sembrano pelosi. Io ho risposto che una volta avevo dei doposci uguali, i pelosoni come li chiamavano. Gli altri miei due figli, il Daniele e la Anna si sono messi subito a ridere e hanno capito che scherzavo. La Giulia mi ha detto Davvero li avevi? No, scherzavo, le ho risposto. Non ce li avevo.
Mentre camminavo sulla spiaggia e andavo dalla parte dove c'è la spiaggia libera e loro sono corsi avanti pensavo che fare il genitore è proprio una bella esperienza, specialmente quando i tuoi figli diventano un po' grandi, perché li vedi diventare la persona che c'è in loro. La persona che c'è in loro, esatto. Perché la loro persona è già lì, lì dentro, da qualche parte. C'è già. Voglio dire, io quando i miei figli erano piccoli e avevano mettiamo un anno o un anno e mezzo ma forse anche prima, e poi anche dopo, a quattro o cinque o sette o nove anni, mi chiedevo sempre: chissà come diventa da grande, questo qui? e pensavo diventa così e così e così, e invece l'altro diventa così e così, adesso stiamo a vedere. Il ruolo di padre alle volte è solamente stare a vedere. Assecondare un po' il passare del tempo, fare in modo che la vita fluisca dentro ai tuoi figli senza fargli troppo male o troppo in fretta. Un buon padre secondo me deve agevolare un po' questo riempirsi, semplificare un po' magari, ma non tanto, non troppo. Evitare le mazzate più forti certo, quelle che fanno davvero male, ma non tutte direi. Alcune servono. Un po come una vaccinazione, tipo. Quelli che ti iniettano con la vaccinazione sono dei virus, un po' rincoglioniti magari, ma sempre dei virus. Se ti iniettassero del disinfettante ad esempio, una cosa pulita e sterile, una cosa buona, non funzionerebbe mica, la vaccinazione.
Fare il padre è un mestiere difficile. Sempre uno di questi giorni all'Elba ero fuori a uno di questi negozietti tipo bazar che ci sono in tutti i paesi di mare in Italia, quei negozi che vendono un po' di tutto braccioli, giornali, creme solari, ciabatte, costumi, collanine, assorbenti igenici, palloni, tavole da surf con il disegno di Hello Kitty, bambole di Hello Kitty, coccodrilli gonfiabili, materassini gonfiabili, stuoie, i libri Harmony e me ne stavo andando a bere un caffè al bar bello tranquillo dopo avere fatto la spesa che quello era il mio compito del mattino, di fare la spesa. Camminavo e mi guardavo in giro. A un certo punto mi sono imbattuto in un genitore con quattro bambini alle calcagna. Non credo fossero tutti suoi, i bambini. L'impressione che il signore fosse uno non tanto a suo agio con dei bambini ce l'ho avuta subito. Era uno abbastanza magro, con le mani curate e un bell'orologio al polso. Una camicia azzurra appena messa. Delle scarpe da barca. Dei pantaloncini color kaki, il Sole24ore, il Corriere e l'Ipad sottobraccio. Occhiali da sole. I capelli brizzolati come i miei per intenderci, però più curati, più pettinati, senz'altro. Più voluminosi, mi sembrava uno di quelli della pubblicità della Garnier. Un bell'uomo. Uno di quelli che ti aspetti di vedere quando sei in colonna in tangenziale ovest e giri la testa di lato per guardare chi c'è al volante di un Porsche Cayenne nera e quando lo vedi in faccia dici: einfatti. Subito dietro c'era una bella moglie - credo moglie - abbronzata. Con un vestito bianco e quegli occhiali che vanno adesso, quelli grandi, sfumati. Anche lei l'ipad in mano, una borsa di paglia a tracolla, un po' tesa già.
Il signore in questione si è avvicinato alla cesta dei palloni con la premura di uno che vuole risolvere una questione urgente subito, una volta per tutte. Ha tolto di tasca un portafoglio in pelle che non sembrava neanche che lo avesse mai tenuto in tasca in vita sua. I quattro bambini alle calcagna si sono addossati alla cesta e hanno infilato le mani dentro per prelevare un pallone Super Tele ciascuno. Uno di quei palloni che mi è venuto in mente che è minimo quarant'anni che esistono, ed è quarant'anni che fanno cagare perché non ci puoi mica giocare a calcio, con un pallone Super Tele. Che è troppo leggero e vola dappertutto, è incontrollabile. Lo sapete quali sono i Super Tele, no? Mi sono chiesto come è possibile che i palloni super Tele siano ancora sul mercato al giorno d'oggi. Il Super Tele è una specie di paradosso italiano, credo che in nessun altro paese del mondo potrebbero riuscire a venderlo per più di una stagione uno schifo così. Il Super Tele è l'embrione dell'idea del pallone da calcio, non un pallone da calcio. E' il riassunto di quello che non è e non può essere, un pallone da calcio. E' una specie di feticcio, un totem da spiaggia, una specie di surrogato di tutti i palloni del mondo, un milite ignoto dei palloni da calcio, una pillola per farti passare la voglia di fare due tiri al pallone che ti assale ogni volta che sei in ferie, hai uno spazio libero davanti a te e qualche amico intorno. Il Super Tele è un simbolo in un certo senso. Una bandiera. Direi che è la bandiera ufficiale della serena rassegnazione italiana. Che dopo che gli dai il primo calcio, al Super Tele, lo capisci subito che ti hanno fottuto, con quel pallone. Però te lo tieni. Tanto ormai.
I quattro bambini hanno agguantato un Super Tele a testa. Uno per uno così non litigate, ha detto il sosia magro di Briatore mentre li comprava. Un pallone per uno così non litigate? Ma che cazzo dici? Mentre il signore metteva via il resto, i quattro mocciosi - a guardarli bene si vedeva che erano vestiti esattamente come il sosia di Briatore - hanno buttato i palloni in piazzetta e si sono messi a rincorrere ciascuno il proprio Super Tele, con una scoordinazione e una goffaggine e soprattutto propagando un senso di solitudine e desolazione che io non credo di avere mai provato prima in vita mia. Ho provato per quei quattro bambini che rincorrevano quattro palloni diversi in quattro direzioni diverse della piazza un senso di pena profonda. Dispiacere. Tenerezza. Squallore. Dopo un po', dopo che la signora abbronzata vestita di bianco ha dato di matto con una crisi isterica e i passanti le hanno radunato i bambini sul marciapiede, ho visto quei quattro cuccioli d'uomo venire pilotati verso la spiaggia, ciascuno con il proprio Super Tele ben stretto tra le manine. Si guardavano tra loro, i mocciosi. Si studiavano. Guardavano il Super tele. Capivano che c'era qualcosa che non quadrava. Lo avrebbe capito anche il più deficiente dei deficienti, che c'erano tre palloni d'avanzo per poter giocare tutti insieme e per divertirsi facendo una partitella, ma per loro era impossibile arrivarci. Che se tuo padre ti dice di giocare a calcio con il tuo Super Tele e di non rompere, tu da bravo bambino cerchi di farlo perché pensi che evidentemente è così che si gioca a calcio. Da soli, con il Super Tele che sbanda nel vento. E' come una vaccinazione. Non lo puoi a capire che ti stanno fottendo. Anzi. Ti insegnano anche a dire grazie.
Sono arrivato all'edicola è ho preso il giornale. Il titolo di apertura era "Berlusconi ridiscende in campo". C'era una foto del Berlusca con a fianco Alfano, che deve essere uno che in vita sua, da piccolo, ha giocato parecchio da solo con il Super Tele. C'era scritto che le primarie non le faranno perché Berlusconi ha detto che non servono, ché c'è lui come candidato premier e quindi è inutile perdere del tempo. In effetti. Mi sono fermato in mezzo alla strada con il giornale tenuto tra le mani esattamente come i bambinetti tenevano tra le mani davanti a loro il loro Super Tele. Ho alzato la testa è ho visto una signora tutta rugosa e abbronzatissima sulla sessantina, tutta ingioiellata, con lo smalto color ciliegia sulle unghie e un vestito bianco e una borsa di paglia e uno sguardo da figa assolutamente fuoriposto che veniva nella mia direzione. Al suo fianco il marito - credo - un sosia del sosia di Briatore però più vecchio, tipo una fotocopia del Briatore magro di prima stagionato di vent'anni. Poi alzando la testa ho visto più in là, nella piazzetta, dei sosia di Montezemolo, con lo stesso ciuffo e le stesse rughe e la stessa giacca. Poi dei ragazzi più giovani, dei sosia dei concorrenti del Grande Fratello palestrati e attillati e lucidi. Poi due ragazzi vestiti finto hippy, capelli lunghi e birkenstock ai piedi che passavano su due bici sgangherate. Uno dei due teneva un materassino gonfiabile di Hello Kitty sotto braccio.
A un certo punto proveniente dalla spiaggia è arrivato in piazzetta un pallone Super Tele vagante che esaurita la sua propulsione randomizzata nel cielo veniva portato dal vento. Ho visto il pallone scavalcare il muretto, rimbalzare e rotolare sul selciato e poi fermarsi in un angolo della piazza con un dondolio irreale.
In quell'esatto momento ho pensato: siamo fottuti.
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