IL NATALE DEI BAMBINI DIMENTICATI
Ai miei genitori, alla mia famiglia - di Fabrizio Deville.
Ai miei genitori, alla mia famiglia - di Fabrizio Deville.
E poi arrivava la stagione invernale, poi il Natale e io mi ritrovavo solo. Papà e mamma in negozio al lavoro che sapevo solo quando iniziava e che finiva col buio quando l'ultimo cliente se ne andava via.
Passavo le giornate a giocare nella neve con gli altri boci della via, le marachelle, le merende di nutella e così fin a notte quando le lente sagome dei miei spuntavano dall'incrocio, era ora di cena.
Quelle cene di poche parole di gente stanca che lavora duro, quante sono state quelle cene? Era il giorno di Natale e per noi era un giorno qualunque, una cruda data nel calendario delle feste dei “siòrez” .
L'albero era quel che era, fatto con grande impegno ma mai bello come quello degli altri. I regali erano il massimo che potevano dare, ma mai luccicanti come quelli degli altri.
Già gli altri, ci potevo giocare ma loro avevano sempre di più e da bambino questo ti fa soffrire, in silenzio, dimenticato, da solo. Mi sono persino vergognato dei miei genitori, che stronzo, dovrei vergognarmi solo per averlo pensato.
Ho scoperto il Natale quando cinque anni fa è nato Davide (mio figlio). L'anno scorso Angelica è riuscita ad organizzare il pranzo di Natale con tutti i nonni, credo sia anche stata la prima volta in cui siamo stati a tavola assieme per più di due ore ed è stato il Natale più bello.
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