lunedì 25 marzo 2013

INDIA.

Chandigar, India. Ieri sera sono arrivato qui da Manali, da solo, con un viaggio allucinante. Sono entrato in albergo, ho preso una camera e ho depositato la mia roba. Poi sono uscito subito, con solo qualche rupia in tasca. Pantaloni, scarpe, una maglietta che indosso da quattro giorni, e poi nient'altro. Ho iniziato a camminare per questi viali lunghissimi disegnati da Le Courbusier, le strade erano piene di gente, pieni di giovani e di bambini. La maggior parte dei giovani, uomini e donne, erano in fila dentro a dei negozi di telefonia e di elettronica per comprare uno smartphone. File come se distribuissero del pane o dell'acqua. File incredibili e allucinanti e quà e là ogni tanto, ma non tanto, dei bambini piccoli sporchi e spettinati che rovistavano tra gli scatoloni dell'immondizia per trovare qualcosa da mangiare. Io camminavo, come su una scacchiera, facendo svolte secche di 90° ad ogni incrocio. C'era buio, nell'aria della polvere, tanta povere, e suoni di clackson e fari di automobili che si confondevano e si incrociavano nel cielo nero. Sono andato avanti per un po', fino a quando sono arrivato a una rotonda poco illuminata. Dall'altra parte della strada finivano i negozi e c'era buio. Dall'altra parte non c'era niente, non si vedeva più niente, dei campi coltivati forse, dei mucchi di terra e di sassi. Vecchi rottami. La notte. Dall'altra parte c'era l'India. Ho pensato che avrei potuto attraversare la strada e sparire e andare chissà dove e che nessuno avrebbe mai saputo più niente di me. Sarebbero rimaste due sacche gialle, una sacca blu porta sci e uno zaino in hotel. I miei documenti, il mio portafoglio, le mie carte di credito. Un quadernetto con degli appunti. Il mio smartphone, anche. Le mie ciabatte. Poi nient'altro. Sono stato lì fermo per un po' sul bordo della strada. Poi è arrivato un bambino piccolo di quelli che cercavano da mangiare nella spazzatura. Mi è venuto vicino e mi ha guardato dal basso in alto poi mi ha preso la mano, come se fossi stato suo papà, come se lui fosse uno dei miei figli e noi dovessimo attraversare la strada. Siamo rimasti lì fermi in piedi sul bordo della strada per un momento, in silenzio, tenendoci per mano, guardando oltre il traffico delle automobili verso il buio. Poi ci siamo girati e siamo tornati indietro. Siamo entrati in un negozio di alimentari lì vicino e io ho preso un pacchetto di biscotti Digestive, quelli che stanno dentro a quella scatola rettangolare rossa. Li ho pagati alla cassa e poi fuori dal negozio glieli ho dati in mano. Lui mi ha fissato dritto negli occhi, era tutto sporco in faccia e a piedi nudi, ha preso i biscotti con un gesto lentissimo della mano guardandomi sempre negli occhi e poi e è corso via urlando, velocissimo, chiamando degli altri bambini che sono saltati fuori da dietro a dalle automobili che erano parcheggiate in disordine lì intorno. Poi io sono tornato indietro fino all'hotel. Ho fatto tutta la strada a ritroso camminando lentamente per linee ortogonali tenendo le mani in tasca. Tasche vuote. Mi sentivo leggero e appiccicoso e sudato e sporco. E libero. Poi sono arrivato in hotel, sono salito nella mia stanza e mi sono messo a dormire. Non ho neanche fatto la doccia.

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