martedì 21 maggio 2013

AFFEZIONARSI.

La salita di Selvino è come un aeroporto o l'interno di una stazione ferroviaria o l'atrio d'ingresso di una scuola le prime volte che ci entri. Vedi gente che va e che viene, facce sempre diverse e nuove e ti sembra tutto un caos, tutto veloce, confuso, incomprensibile. 

Poi dopo un po' che ci vai ad allenarti, sul Selvino, capisci che le persone che incontri sono sempre le stesse. C'è quello con gli occhiali arancioni e bianchi, quello con la Cannondale bellissima e quello che invece non saluta mai. Quello un po' sovrappeso che quest'anno è dimagrito, cazzo se è dimagrito, e quello che tiene il cappellino con la visiera sotto al casco. Quello che lo incontri sempre mentre lui sta già scendendo, con la giacchetta svolazzante bianca, che si vede che lui, quel signore lì, finisce presto di lavorare. Più presto di te. 

Chissà che lavoro fa? 

Non conosci nemmeno un nome di tutte quelle persone, non sai dove abitano, come si vestono quando non sono in bici, che cosa fanno. Non sai se sono tristi o se sono felici, se sono single o sposati o separati. Non sai come votano, che macchina hanno, dove abitano, se parlano in italiano oppure in bergamasco. Non sai niente di loro. 

Eppure quando li vedi e li saluti e quando loro salutano te sollevando un po' il mento e allargando leggermente i gomiti, quello che pensi è che quelli lì, tutti quei signori che incontri sul Selvino, sono come te. Sono ciclisti. 

E questo ti basta. 

Finisce che ti ci affezioni.

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