lunedì 9 dicembre 2013

GIORNALI SCRITTI BENE, DELLE VOLTE.


Il giornale della mia città, L'Eco di Bergamo, oggi è aumentato di 10 centesimi, come altri giornali. Non so quindi dire se nel fare il giornale, ieri, la redazione e i giornalisti abbiano fatto uno sforzo supplementare, speciale per giustificare l'aumento, ma voglio dire che comunque sia andata, sull'edizione di oggi c'erano almeno due articoli che meritano di essere conservati, dopo essere stati letti. 

Uno - a pagina 12 e 13 - è l'intervista a un imprenditore indagato per corruzione che ha ammesso di avere pagato tangenti per salvare le proprie aziende. Non mi interessa entrare nel merito della vicenda politica o giudiziaria, ma a un certo punto della intervista, verso la fine, l'imprenditore intervistato parla di se il giorno del trasferimento da Brescia a Milano per andare San Vittore a scontare la sua pena. Dice che durante il trasferimento con il cellulare della polizia penitenziaria era seduto davanti a un piccolo finestrino oscurato e poteva guardare fuori attraverso qualche rigatura nel vetro e lui, tra il casello di Palazzolo e quello di Bergamo, mentre passava nelle sue zone, ha tenuto gli occhi chiusi per non vedere la sua terra da carcerato. Io leggendo mi sono sentito lì, con lui, con questo uomo, ero solo come era solo lui sul cellulare. 

Mi sono sentito al suo posto. Posso provare rabbia nel comprendere il suo modo di fare affari, rabbia di fronte all'idea malata di salvare la sua azienda dal fallimento con le tangenti (un modo che lui stesso ha definito sbagliato e che suo padre, secondo le sue parole, non avrebbe mai utilizzato) ma allo stesso tempo ringrazio il giornalista che ha realizzato l'intervista per avermi consentito di capire meglio. Capire meglio i fatti e le persone, cosa che significa in definitiva capire il contesto, l'ambiente sociale, gli stati d'animo, e in ultima analisi il mondo. 

L'altra cosa davvero speciale de L'Eco di Bergamo di oggi è a pagina 31, si tratta di una intervista a Domenico Quirico, per chi non sapesse chi è si tratta del giornalista del La Stampa rapito e sequestrato per 5 mesi in Siria. Riporto testualmente una delle sue risposte, sul mestiere di reporter, così facciamo prima:" Il mio mestiere è raccontare storie di uomini: il loro dolore, angosce, passioni. devo impostare il rapporto con la realtà che racconto secondo un rapporto granitico: quello dell'onestà. Perché questo rapposrto esista c'è una condizione sovrana che devo rispettare: condividere le passioni, speranze, sofferenze di coloro che incontro. L'unico modo di condividere è di essere lì con loro. Ho avuto paura delle loro stesse paure. Ho patito la loro stessa fame. Questo mi da diritto di dargli voce." 

Ecco. Io vorrei usare queste sue stesse parole per riempire gli sguardi interrogativi di tutti quelli che in questi giorni mi hanno ripetuto una infinità di volte la stessa domanda "Perché vai al Nanga Parbat? Perché d'inverno?"
Io vado perché andare là, con Simone e David, è l'unico modo per condividere e raccontare, l'unico modo per sapere, l'unico modo per capire e per provare a far capire. Devi avere freddo e fare fatica e comprendere la paura e devi conoscere la gioia, devi saperla vedere arrivare da lontano, come un onda che viene a riva, se vuoi condividerla. Devi leggere il sogno degli altri, se vuoi capire i tuoi sogni. 

Il giornale della mia città spesso non mi piace. Però oggi mi ha fatto sentire al posto di altri due uomini, e poi al mio posto, più a mio agio di tante altre volte. 

Sentire e far sentire quello che sentono gli altri, per questo si scrive, per questo si legge. 

Non solo i libri, ma anche i giornali, quando qualcuno li scrive bene.

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