venerdì 6 dicembre 2013

MANDELA DAY.

Ricordo una foto sul sussidiario delle elementari dove c'era un uomo bianco seduto su una panchina verniciata d'azzurro, da solo, era un tizio con un cappello, una paglietta, e intorno a lui, nella foto, c'erano delle donne di colore con delle borse della spesa, in piedi, che su quella panchina non si potevano sedere. Era una fermata dell'autobus. 

Chiedevo perché a me, che ero un bambino, si chiedeva quando ero seduto sull'autobus di alzarmi in piedi e lasciare il posto alle donne o agli anziani con il cappello - allora gli anziani portavano tutti il cappello - e perché invece in Sudafrica quelle donne non potevano mettersi a sedere sulla panchina e dovevano lasciare il posto a quelli con il cappello. 

Confusione.

Poi a scuola hanno tentato di spiegarmi che non era per via del cappello ma per via del colore della pelle. Chiedevo perché succedeva così e perché ai sudafricani il Mondo la lasciava fare questa cosa, di dividere tra bianchi e neri e ricordo le risposte delle maestre che non arrivavano. Mi dicevano In Sudafrica é così, con un senso di rassegnazione e di accettazione che ho imparato ad odiare. Ricordo lo sconcerto. Ricordo la confusione nella mia testa di bambino. 

Ricordo la rabbia e il profondo senso di ingiustizia e la voglia di ribellarmi e lottare, lottare con tutte le mie forze e combattere tutti i prepotenti. Combattere i prepotenti e tutti quelli che accettano le cose così come stanno, anche se che non sono cose giuste, e combattere anche tutti quelli con il cappello. 

Poi dopo, nel tempo, quelli con il cappello ho imparato ad accettarli.

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