martedì 14 gennaio 2014

ANNOIARSI RENDE FORTI.

I pediatri sostengono che i bambini quando sono malati, a casa, è meglio non lasciarli in pigiama. Meglio farli vestire, che guariscono più alla svelta. Dicono che un bambino che non si annoia è un bambino che guarisce più alla svelta. Così dicono. Oddio, non che i bambini di oggi abbiano occasione di annoiarsi mai, quando sono a casa. Se non sono a scuola sono al corso di calcio o al corso di pallavolo, o al corso di pianoforte e/o di chitarra, o di cucina, o di attività manipolatorie pongo, plastilina, Das (c’è ancora il Das?). Oppure guardano la TV satellitare. Oppure giocano con la Playstation, con la Wii, con il computer, con il telefonino. Nella peggiore delle ipotesi c’è il catechismo, perfino il catechismo è divertente, oggi. Non esistono più bambini che si annoiano e che si perdono per ore con lo sguardo sul soffitto o tra le pieghe delle tende del salotto, o affacciati alla finestra per guardare il parcheggio sotto casa dove non succede proprio niente, mai. Nessun bambino spende più i suoi pomeriggi a osservare le strisce di luce del sole che filtrano dalle persiane e che si muovono sulle pareti di casa. In un certo senso, meglio così. 

Ricordo nella mia infanzia ore e ore spese a giocare nella mia stanzetta con le mosche che eventualmente incappavano nei rettangoli di vetro delle mie finestre. Prendevo un foglio di carta o una cartolina - che nostalgia le cartoline illustrate che si mandavano una volta dal mare o dalla montagna, ora non si mandano più, ma andiamo avanti - e insomma io con queste mosche cercavo di giocarci, di infastidirle scollandole dal vetro usando la cartolina, ma delicatamente senza schiacciarle, senza ammazzarle, altrimenti il gioco sarebbe finito subito. Volevo solo rendere a queste mosche la vita più difficile o forse divertente e divertirmi a mia volta un po’ con loro, con le mosche, giocare, poi alla fine le lasciavo andare aprendo le ante della finestra. Facevo questo gioco per far passare il tempo, per non annoiarmi. E’ stata una scuola utile, la noia, una compagna di giochi indispensabile per diventare uomo e pensandoci adesso anche per diventare alpinista. Imparare ad accettare la noia, imparare a conviverci, accettare la inattività come un dato di fatto e non come un castigo o una punizione, e quando possibile trasformare la noia in attenzione, in azione, in apprendimento, in cose nuove da fare. Questo del sopportare la noia era un passaggio fondamentale nella vita di un bambino, una volta.


Oggi facciamo crescere i nostri figli con l’idea che ci debba sempre essere qualcuno o qualcosa che li intrattiene, a me pare. Qui al campo base del Nanga Parbat da dove vi scrivo bisogna confrontarsi con i tempi e con dei ritmi della montagna e del meteo, con quelli dell’inverno, che non sono necessariamente quelli a cui siamo abituati. Fa freddo qui al campo base - ma non freddissimo almeno per ora - e nevica spesso, sempre qualche ora al pomeriggio, almeno. Non c’è molto da fare quando non si può stare sulla montagna a cercare di salire. Si legge, si scrive, si parla, si sta in tenda e a volte anche ci si annoia. Fino ad ora siamo saliti al massimo a Campo 1 a 5100 metri, anche a dormire, e quelle sono state le giornate più belle. Cielo azzurro, assenza di vento e un ambiente grandioso. Montagne straordinarie tutto intorno. Il fiato corto e il cuore che batte. Neve dura su cui i ramponi prendono bene. Silenzio fossile dentro al canalone dove saliamo per la nostra via. Ok lo ammetto, magari la musica con le cuffiette mentre saliamo, qualche volta per non annoiarci, ce la ascoltiamo. Il silenzio fossile a volte è anche troppo. Il Nanga Parbat è gigante, davvero gigante. Quando ci stai andando sopra è bello e non c’è tempo per annoiarsi. Ma al campo base con il brutto tempo alle volte sì, ci si annoia. Io, Simone e David siamo diventati grandi tutti e tre guardando i soffitti e giocando con le mosche contro i vetri delle finestre. Ci piace stare in montagna, all’aria aperta, stiamo bene insieme. E poi in fondo sono solo dieci giorni che siamo qui. Un po’ di noia ci sta bene. Per adesso, almeno. 

[Pubblicato su L'Eco di Bergamo - Domenica 12 gennaio, 2014]

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