martedì 24 giugno 2014

SIGNORA DI SPALLE.


La morte è come certe signore che non conosci che chiamano con il cellulare dandoti le spalle. 

Hanno la borsetta sull'avambraccio, un vestito che è troppo corto, troppo trasparente e troppo leggero che svolazza, quei buchi nella carne delle cosce che cerchi di non guardare, gli orecchini pendenti, le unghie smaltate senza troppa cura, i piedi nudi incuneati dentro a quei sandali stretti stretti con il tacco da cui un dito mignolo fa capolino, di lato, esausto e inutile come solo il dito mignolo di un piede può rassegnarsi a essere. 

Camminano e parlano fissando il nulla, la testa leggermente reclinata all'indietro, la voce che si espande, si dilata e ritorna indietro con l'eco della stanza, poi ogni tanto c'è un silenzio, breve, che nutre l'aria, qualche secondo in cui tu riesci perfino a sentire il tuo respiro e a notare sotto alla maglietta il ventre che si muove, su e giù, avanti e indietro, una volta, due volte, poi loro riprendono a parlare e allora tu niente, smetti, non respiri più. Apnea. 

Loro parlano. 

E parlano. Spiegano al telefono cose ovvie cantilenando, ripetendo all'infinito sempre la stessa frase, è il loro modo di dare ordini, di comandare. Di dirigere. Poi a un certo punto mentre ancora telefonano e camminano all’improvviso fanno una giravolta e ti vedono, il loro sguardo incontra te, tu sei lì seduto già da un po', tu eri già lì in effetti, già da prima, sei sempre stato lì. Sei nato lì, su quella sedia. Così si direbbe. 

Ti fanno un cenno di saluto e una espressione di sorpresa senza interrompere la telefonata. Tu cedi in avanti con la testa, sembra che annuisci. Sollevano la mano come per segnalare qualche cosa tirando le dita all'indietro mentre i braccialetti e la borsetta gli scivolano giù fino all'incavo del gomito ma è con l'altro che parlano ora, pinzano tra pollice e indice un foglietto su cui c'è scritto qualche cosa a biro, un numero e un nome, forse. Chissà che numero. Chissà che nome.

Mentre ascoltano il loro interlocutore con l'orecchio appiccicato al telefonino ti guardano spalancando gli occhi e fanno uscire dalla bocca delle parole che sembrano delle bolle. Parlano con te. Anche con te, sì. Con l’altro e con te. 

E sorridono. 
Tu non capisci niente e pensi: forse sono morto.

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