giovedì 31 luglio 2014

CINQUANTA ALL'ORA.

Quando fai il riscaldamento giusto e c'è la gamba giusta, quando è il giorno giusto, lo capisci subito.

Senti il cuore che sale facile e che scende facile e c'è un momento in cui il fiato si rompe e passi al livello successivo, è come passare da una stanza più piccola a una stanza più grande, in cui c'è più aria e in cui tutto succede al rallentatore, lentamente. Tu sei lucido e distante, ti muovi veloce in quella stanza e in quella lentezza universale e hai la sensazione di avere tutto sotto controllo e che ci siano i due te, quelli che normalmente lottano tra di loro, che si ostacolano e che si infastidiscono a vicenda che invece, per una volta, funzionano insieme. Sovrapposti, in sincronia.

Questa settimana è così e ieri era così, lo sentivo. Allora ho fatto il mio riscaldamento con quella idea in testa di dare tutto per 10km sul mio percorso test, senza risparmiarmi. Fa paura dare tutto, perché nel dare il massimo c'è contemporaneamente la percezione del limite e non sempre il limite è dove lo vorresti tu ma insomma, prima o poi viene il momento di mettersi in gioco e di provare. Sono partito e la velocità è andata su subito, facile. Il ritmo era quello delle settimane precedenti nell'allenamento dietro motori - grazie @silviolussana - eppure la frequenza cardiaca e la velocità stavano lì, al loro posto. Incredibile. Mi sono detto: Provaci. Tanto, cosa ti costa? Nel caso esplodi e ti fermi, mica è una gara questa qui. Mica c'è da vergognarsi.

Andavo e mi sembrava di non essere io quello che pedalava, era come se mi potessi vedere da fuori, di fianco. Da dietro. Da sopra, dall'alto, dal cielo, io piccolo puntino chino sul manubrio e la strada, quella strada dritta e pianeggiante, asfaltata bene che ho percorso tutte quelle volte, una riga nera nel verde dei campi. L'unica cosa che mi raccordava alla realtà era il suono delle ruote in carbonio e quella tensione che attraverso la catena e il telaio della bici, attraverso le mani e i gomiti e i piedi poggiati sui pedali e il bacino entrava dentro di me. Una vibrazione.

A metà del percorso la media era altissima e per un attimo ho avuto paura di non riuscire a tenere duro fino alla fine, mi sono detto: è impossibile. Solo una volta, confesso di averlo pensato, per qualche secondo. Poi, basta. C'era quell'aria che non era piena, chi ha corso in bici sa cosa intendo. E' quell'aria scavata dal passaggio delle auto, poche, una ogni tanto a fianco a me e io che ci passavo a lato. Un po' come quando entri in una stanza in cui hanno appena finito di litigare, c'è silenzio ma è un silenzio strano fatto di parole che sono ancora nell'aria e rimbalzano e sbattono contro al soffitto e contro alle pareti e tu arrivi e lo senti, che c'è qualcosa. Sembra niente ma c'è qualcosa. Ecco era così, c'era quell'aria che nel ciclismo è sbarazzina e complice e che bisogna saperla sentire perché quando vai a più di 50 all'ora all'aria devi chiedere permesso, gentilmente, tu domandi e lei risponde. Ti lascia passare. Devi ascoltare e sentire le risposte nelle ruote, sulla pelle, sulle gambe, sugli avambracci che si infilano nel vento, protesi in avanti. Tra il km 6 e il 7.5 è stata gioia pura, il cuore era a 173 ma veniva voglia di urlare, non dalla fatica ma dalla felicità. Strano, non sentivo fatica. O meglio: la sentivo ma non la sentivo. Me ne nutrivo.

Dai cazzo, spingi. All'ultima rotonda mancava poco più di un kilometro, mi si è affiancato uno con l'auto, ha tirato giù il finestrino e mi gridava Dai Alè Alè, io ho girato la testa e ho sollevato un pollice senza mollare le mani dal manubrio, senza scompormi, senza smettere di pedalare e di spingere. 200 metri. 100. 50. Fine. Ho smesso di pedalare e ho lasciato andare avanti la bici per inerzia, c'era quello zzzzzz della ruota libera. Non c'era lo striscione del traguardo. Non c'era pubblico, classifica, applausi, telecamere, non c'era niente. C'ero solo io. C'era il traffico di una tangenziale del mercoledì sera, c'erano auto e furgoncini, gente stanca che tornava a casa dal lavoro. C'era una linea immaginaria che esiste solo sul computer, solo da casa la vedo. So che c'è.

C'è la linea bianca di uno stop, un cartello poi una rotonda. Ho percorso la grande rotatoria per intero senza pedalare cercando solo di respirare, restando inclinato, ho tolto il 54 e ho messo il 44, ho fatto salire la catena dall'11 al 17 e mi sono messo a pedalare adagio, leggero. Tranquillo. Piano. Ho fatto tutto il ritorno così, godendomela. C'era una sensazione di quiete grandiosa dentro di me. Le auto mi passavano a fianco e riprendevano velocità sulla tangenziale, in senso contrario adesso, stavo tornando a casa. Non mi portavo a casa niente, ieri. Non è una vittoria, non è un record vero, non è niente. Sono solo dei numeri. dati statistici. E' la certezza che io ieri, più di così, non potevo fare. E' la certezza che in questi due anni di allenamento, di tentativi, di sbagli, di successi e di insuccessi e di fatica in un mondo che mi era sconosciuto, in fondo, sono migliorato un sacco.

Cinquanta all'ora. Si fa presto a dirlo.


strava.com / Time Trial Bagnatica 30.07.2014 Km 10.0

Nessun commento: