mercoledì 9 luglio 2014

SPONSOR E ALPINISTI.

E' interessante quello che scrive Alessandro Gogna a proposito di sponsor e alpinisti. Molto. La sua è una analisi molto elaborata, raffinata, probabilmente anche troppo, secondo me buona parte degli alpinisti professionisti di oggi da un certo punto di vista, Alessandro, li sopravvaluta. 

Il suo ragionamento - prendetevi il tempo di leggerlo il suo articolo, ne vale la pena - ha un punto di partenza che si ispira ai valori fondamentali dell'alpinismo di un paio di decenni fa, su tutti ne cito uno di questi valori che lui stesso ha menzionato nel suo articolo e che li riassume tutti: la libertà. La sintesi di un certo modo di fare alpinismo per professione e di viverci è nel titolo di un libro di Messner : "La libertà di andare dove voglio". E di fare ciò che voglio e tutto il resto aggiungo io, ci siamo capiti, leggendo il libro se uno lo ha letto (se no magari leggete anche questo) è tutto molto chiaro. 

Per gli alpinisti aspiranti al professionismo che abbiamo visto sino ad oggi la libertà e l'indipendenza erano il motore di tutto, la premessa, il motivo principale. L'essere libero era il motivo fondamentale di una sponsorizzazione, il compromesso fondamentale che nel tempo ci siamo abituati ad accogliere come necessario. Oggi è diverso. Non è più così. 

Sarò brutale: a buona parte degli alpinisti, arrampicatori, freerider eccetera eccetera professionisti o aspiranti tali dei giorni nostri uno sponsor serve per ricevere credibilità, non per darla. E' uno scambio alla pari. Questi alpinisti non vogliono essere liberi, al contrario, vogliono essere usati. Vogliono essere guidati nella loro carriera, filmati, fotografati, promossi attraverso i media. Resi celebri attraverso uffici stampa e agenzie di PR e per fare questo la libertà sono disposti a metterla temporaneamente da parte, a sacrificarla. I loro sogni, i loro desideri questi alpinisti li chiamano molto disinvoltamente "progetti". A me la cosa, in un certo senso, ha sempre fatto paura.

 Voglio dire due cose: una, che sono cambiati i tempi. due, che ci piaccia o no è un dato di fatto sempre più evidente che in alpinismo dove le classifiche non ci sono, a farle le classifiche, sono gli sponsor. Sponsor grosso, atleta grosso. Sponsor piccolo, atleta piccolo, l'equazione è facile, apparentemente. E' triste da dire, ma è la verità. E' come ci siamo ridotti a vedere le cose. La percezione dell'audience si è trasformata, adeguata, ha perso la sua forza critica. Per molti giovani alpinisti che aspirano a una vita da professionisti uno sponsor e una sponsorizzazione non sono più un punto di partenza, non sono più un modo per essere più liberi e più indipendenti, sono uno strumento a disposizione per crescere. Un punto di arrivo. 

Un modo per ricevere visibilità, per costruire il proprio brand (sigh) e per rendersi autorevoli nella élite artefatta di altri alpinisti celebri. E' il mondo che funziona così, è il sistema sociale, il sistema economico, quello dei media e - purtroppo - anche quello della stampa specializzata. Gli alpinisti che aspirano al professionismo soltanto ormai, molto spesso, invece che lottare contro il sistema si sono rassegati ad usarlo. Facendosi usare. 

Una volta gli alpinisti erano i ribelli, i rivoluzionari, coloro che volevano sovvertire l'ordine delle cose, oggi sono l'immagine stessa delle aziende o dei brand che rappresentano. Ieri erano i pirati, i cavalieri solitari, gli sbandati, i senza futuro. Oggi molto spesso sono dei ragionieri, dei manager. Delle icone. Dei fotomodelli (a-ri-sigh). Gli alpinisti si sono adattati, il prezzo da pagare è che alcuni questo sistema non lo riescono a maneggiare e a governare e ne vengono sopraffatti, la passione ed il talento spesso vanno persi per strada. Non tutti sono cos', non a tutti capita così, per fortuna. 

C'è sempre e ci sarà sempre chi le vie le apre e le sale per primo. Chi esplora. Chi sogna. E chi invece le vie soltanto le ripete e al massimo le colleziona

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