lunedì 30 giugno 2014

GIORNALISMO 2.0, O FORSE 3.0

Siamo nell'era del giornalismo 2.0 o forse a questo punto 3.0. Un giornalismo fatto non più o non solo da giornalisti e addetti ai lavori ma fatto da chiunque, a quanto pare, abbia un telefonino in tasca e una connessione a internet. Ho letto studi e articoli sull'argomento, mi tengo aggiornato, è parte del mio lavoro quindi sono sempre, da sempre, interessato al tema.

Studio e osservo questo modo di comunicare e raccontare così come si osserva un adolescente crescere e diventare grande, formare il suo carattere, diventare buono o cattivo, o forse, meglio, per spiegarmi più chiaramente, guardo il fenomeno come si guarda a un temporale nel cielo, all'orizzonte. Guardo le nuvole formarsi e correre e radunarsi e poi accumularsi e diventare una tempesta o grandine oppure qualcos'altro un nuovo fronte o dissolversi nel nulla e scomparire così come sono comparse, queste nuvole. Osservo. Faccio tesoro delle  esperienze, o almeno cerco.

Diciamo che la sostanza della questione, riassumendo e semplificando notevolmente, sembra diventata che oggi non sei più tu a trovare le notizie ma sono le notizie a trovare te. Una gran figata, sembrerebbe. Solo che comincio ad avere qualche dubbio.

Faccio un esempio: ieri c'era la LUT, una gara di corsa in montagna che si correva nei pressi di Cortina. Non voglio entrare nei dettagli tecnici della gara, adesso, mi basta dire che ci sono un sacco di buone ragioni per cui nel mio feed di FB o di Twitter o di Instagram delle notizie inerenti la gara raggiungessero me. Motivi professionali, economici, di relazione, di condivisione di interesse. Ho ricevuto ieri ogni tipo di informazione, inclusi un quasi centinaio di amici - amici di FB, quindi alcuni amici-amici, altre persone che conosco solo di nome - che a ogni passaggio di un controllo mi inviavano un messaggio (il sistema automatico di cronometraggio, me lo inviava) con su scritto "Tal Dei Tali ha passato il controllo al Tal posto in Tot/h Tot/min' " che è quel tipo di notizia che vorresti ricevere da tuo padre o da tuo fratello se sta correndo in un posto sperduto e tu non sei lì perché lo stai aspettando da un'altra parte.

Poi ho ricevuto, sempre nel mio feed, una quantità enorme di informazioni inerenti la gara postate da giornalisti o presunti tali 2.0 o 3.0. Attraverso le loro condivisioni ho potuto addirittura ascoltare la musica dalla starting line e vedere la mandria dei partecipanti prendere il via e cominciare a correre; vedere le foto o dei piccoli clip video di partecipanti in transito ai vari posti di controllo. Sapere che in testa alla gara c'era un certo atleta, che è un atleta molto conosciuto, per intenderci uno che probabilmente molti non conoscono nemmeno per nome ma che saprebbero riconoscere "a occhio" perché ha i capelli lunghi, la barba e corre solitamente a torso nudo. E' un figo. Americano. Simpatico, se è per quello. Ho ricevuto una quantità di informazioni che lo riguardavano imbarazzante.

A un certo punto, lo ammetto, ho pensato "Che palle".

Oggi il feed prosegue con i partecipanti che hanno cominciato a postare le loro foto dell'evento. Loro in corsa. Loro sulla finish line. Loro abbracciati a Tony (il vincitore, quello figo con la barba e i capelli lunghi). Ora, voglio dire questo. Ieri in gara c'era anche una atleta che conosco - conosco anche personalmente - una ragazza italiana che si chiama Francesca Canepa. E' stata la vincitrice della gara nell'edizione dello scorso anno. E' una atleta che anno dopo anno, con caparbietà, con costanza, piuttosto in silenzio ha continuato a progredire, evolvendo tra l'altro da atleta di pura endurance sulle ultra distaze ad atleta veloce e brillante. Il suo percorso sportivo e umano è un percorso interessantissimo e che probabilmente prelude a un salto di qualità che dobbiamo ancora vedere. Un tema di cui, io credo, un giornalista che fa bene il suo mestiere dovrebbe cercare di occuparsi. L'anno scorso Francesca aveva anche vinto la LUT femminile, quindi era di diritto tra le favorite. In più la gara si corre in Italia, Francesca è italiana.

Quest'anno cioè ieri è arrivata seconda dietro a un'altra atleta americana che si chiama Rory Bosio, una ragazza esuberante e simpatica, un colosso dell'ultra trail che anche conosco personalmente e che lo scorso anno ha vinto anche l'UTMB in un tempo record, piazzandosi al decimo posto. Decimo posto uomini e donne insieme, intendo. Overall. Rory è il corrispondente femminile di Toni, non corre a torso nudo per motivi ovvi, ma insomma è una superstar del trail running. E' brava. E' atleta di punta di un grande team. E' americana.

Francesca è arrivata al traguardo seconda tra le donne (22°overall, Rory si è classificata 18°). Il distacco tra le due è di quindici minuti scarsi, un niente su quasi 15 ore di gara. Eccoci al punto.

E' normale che io ieri, tra migliaia di informazioni ricevute nei miei feed, per sapere qualcosa di Francesca Canepa, zioporco, che era in lotta per vincere la LUT femminile, abbia dovuto andare a cercare da solo le notizie ravanando dappertutto senza trovare niente o quasi? Perché insieme a decine e centinaia di pseudo-notizie, video, foto, tweet, post, post automatici, foto su instagram ritwittate e ripubblicate in tempo reale da pseudo-giornalisti o psedudo-addetti stampa, a me, di Francesca Canepa che era seconda, non mi ha mica parlato nessuno, o quasi.

E questo, per me, vuol dire due cose: primo, che probabilmente nel giornalismo 2.0 o 3.0, c'è qualcosa che non va. Secondo, che un buon numero di giornalisti 2.0 o 3.0 - non tutti per fortuna - più che fare il giornalista usando twitter e fb e instagram e insomma i social media in genere, fanno la stessa cosa che fanno i miei amici che seguono altri amici facendogli assistenza o il tifo in gara e poi postano foto, tweet, post. Soltanto che i miei amici e gli amici dei miei amici sono lì a divertirsi. E i giornalisti invece dovrebbero essere lì per fare un'altro lavoro e per dare una informazione completa. Per dire cosa succede. Per garantire una informazione tempestiva, obiettiva, completa. E invece giocano anche loro con il telefonino. Parlano del primo e del più figo. Del più forte. Di quelli di cui è facile parlare. Del secondo, del terzo, del quarto, no. Parlano dell'atmosfera intorno alla gara, interessante. Degli sponsor, già meno. Dei tapascioni, con il massimo rispetto per i tapascioni. Degli atleti difficili da raccontare, perché non parlano? C'è da sperare almeno che in questa svagatezza digitale, se proprio non vogliono parlare della gara e degli atleti che anche se non vincono si fanno il culo per vincere, i giornalisti 2.0 o 3.0 riescano almeno a restare indipendenti e imparziali.

Almeno quello.
Me lo auguro.    

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