giovedì 14 agosto 2014

DORMIRE IN AUTO COME LOTTA AL SISTEMA.

Ho posseduto, nell'ordine, a partire da metà degli anni '80: una Fiat 500 bianca alla quale i sedili posteriori erano stati rimossi, per fare spazio. Un Ford Transit furgonato grigio in cui si dormiva dentro da favola. Un lusso. Poi venduto, pausa per il servizio militare. Poi una 2CV familiare, quelle del panettiere, entrava aria dappertutto ma con un bel sacco a pelo si dormiva benissimo ovunque anche in inverno, andare in giro lontano era molto complicato ma era una vera avventura, fantastica e poi alle donne piaceva, mi dava un aria molto bohémien. 

Poi una Volvo Polar D6 autocarro, ci si dormiva e si viaggiava per centinaia di chilometri no-stop che era una figata. Poi una Volvo Polar, a benzina, alla fine ci ho messo il gas perché consumava come una petroliera e per via della bombola non ci potevo più dormire dentro - dormivo in tenda - ma spendevo un cavolo, quindi era perfetta. E poi era bellissima, la più bella di tutte forse. Rossa. 

Ford Focus Ghia familiare blu metallizzato, va bè. La mia prima auto nuova. Tentavo di resistere al declino già avviato e alla infelicità e la vita lavorativa insoddisfacente tentava di premiarmi con i soliti trabocchetti in cui caschiamo noi maschi immaturi: gadgets e approvazione e appagamento del senso del possesso. Poi una piccola riscossa, dopo l'incidente in snowboard con una parte dei soldi dell'assicurazione per una Lancia Z vecchio tipo (però nuova). All'acquisto in concessionaria mi ero fatto sfuggire la frase "ci si dorme dentro benissimo" e il venditore mi aveva guardato malissimo. Ulisse Fiat blu, bello, tanto spazio ma sempre più autovettura e sempre meno furgone, stavo tornando indietro, non andando avanti. Infatti della mia vita non capivo quasi più niente. Poi finalmente un VW Transporter blu, l'inizio della riscossa. Mi è toccato cambiarlo presto  ma è finito a un'amico, adesso da qualche anno un altro VW Transporter marrone metallizzato, bellissimo che sento finalmente cucito su di me e che mi voglio tenere per altri dieci anni almeno, o quindici. O venti. Fin che muoio. Per sempre. Voglio che prenda la mia forma e che tutti quei piccoli graffi inevitabili sulla carrozzeria raccontino la mia storia. E' da un po' che ci dormo dentro e lo voglio fare sempre di più, come facevo sempre prima, finalmente posso andare di nuovo a sciare o in bici ed avere tutte le mie cose a portata di mano, essere a casa mia dappertutto. 

Essere ovunque e da nessuna parte. Libero. 

E' iniziato così il mio sogno di climber a tempo pieno, di skibum, di scalzacani sempre in giro e così prosegue, sdraiato nel baule di una monovolume o di una familiare, magari sempre di più insieme ai miei figli. Prima o poi il mio frugo toccherà cederlo a loro per andare in giro, per le loro avventure. O almeno spero, spero che gli venga voglia. 

Certo, la battaglia sul tema è dura, durissima, è una battaglia contro il sistema, contro la omologazione, contro l'appiattimento, contro il potere precostituito, contro il fighettismo imperante, la stessa battaglia che ho già combattuto a livello personale ai tempi della Ford Focus Ghia. Ora è una guerra planetaria, mondiale. Ora che sono diventato padre la guerra è totale, ad ogni livello, serve aiutare i miei figli, i giovani, insomma quelli che troppo spesso finiscono per arenare il loro entusiasmo nella ricerca della comodità tipica dei vecchi, non dei giovani. 

Quando ho accompagnato mio figlio Daniele alla partenza per il freestyle camp di Les2Alpes lui era l'unico senza un trolley, i trolley sono roba da vecchi. Odio i trolley (l'ho già detto). Tutti quei trolley in giro, uno per uno, mi mettevano di cattivo umore, nel retro del Mercedes Vito con cui stavano andando faticavano a starci. Però a un certo punto mentre cercavano di caricarli e di cacciarceli mio figlio con la sua duffle morbida e comprimibile in mezzo ai piedi, mentre da bastardi eravamo lì nullafacenti a guardare gli altri che si affannavano, mi ha guardato negli occhi e ci siamo messi ridere. Con lo sguardo mi ha detto: avevi ragione. A casa avevo combattuto per fargli portare poca roba e in una sacca morbida, l'essenziale. E avevo combattuto segretamente anche per non farmi telefonare, infatti a parte qualche messaggio, a casa e a noi non ha mai chiamato. 

Forse qualche speranza, c'è.

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