Ho letto oggi su Planetmountain restando in bilico tra ilarità e tristezza la news intitolata "Spit sull'Everest", chiedendomi francamente quale è il destino dell'alpinismo che con accanimento ci ostiniamo a raccontare tra noi appassionati. Si perchè senza delle storie autentiche e qualcuno che si prende la briga di raccontarle, l'alpinismo sarebbe solo ed esclusivamente il modo più scomodo che conosco per fare della ginnastica in alta quota.
Ho letto nella news in questione che il mio amico Willie Benegas ha fissato 6 spit a 7700 metri sulla fascia gialla dell'Everest con lo scopo di snellire il traffico degli alpinisti in salita e in discesa sulla via normale dal versante nepalese. Va bè, dico, non è questo il momento di scandalizzarsi, tutto sommato passano di lì almeno 600 persone tutte le primavere, è evidente che si tratta di lavoro di routine e che per risvegliare dal coma profondo l'audience alpinistica più nostalgica e conservatrice ci si vuole a tutti i costi ricamare una notizia sopra. E' maggio, la stagione di scalate all'Everest è appena iniziata.
Il livello della news mi sembra lo stesso del servizio sulla donna più tettona del mondo a Verissimo su Canale 5, comunque non importa. Continuo a leggere: "Il progetto prevede inoltre di fissare nuove corde fisse lungo tutta la via" e intanto mi immagino Willie al lavoro con il piantaspit sulla fascia gialla, animato dalla sua solerte razionalità di lavoratore argentino trapiantato in America. Immagino che per fissare quei 6 spit abbia utilizzato la stessa distaccata sollecitudine con cui durante l'inverno bonifica dal pericolo valanghe il Mineral Basin di Snowbird, in Utah, lanciando candelotti di dinamite giù per i pendii. In fondo lì a Snowbird ci vanno delle persone a sciare che hanno pagato un servizio e un biglietto e lui è lì per fare uno sporco lavoro - fa la Guida e lo Ski Patrol. Tutto di una normalità a cui ci siamo già abituati, mi pare. All'Everest succede grosso modo le stessa cosa che a Snowbird: c'è gente che lavora e gente che va per divertirsi pagando un biglietto, questo può non corrispondere alla vostra e alla mia idea di turismo, ma di questo si tratta. C'è chi pianta spit e corde fisse e chi le usa. Qualcuno, qualche alpinista puro dice di non volerle, le corde fisse, ma poi le usa di nascosto. Idem con l'ossigeno. Le scalate fuori stagione o le vie nuove tutti le sbandierano come vero alpinismo ma esclusi i soliti quattro o cinque non le tenta praticamente nessuno, comunque va bè, restiamo sul pezzo.
Ma perché un titolo così? "Spit sull'Everest", ma che cavolo di titolo. Mi dispiace, perché i ragazzi di planetmountain.com fanno un ottimo lavoro.
Mi avrebbe indignato di più "Spit su Termintor", al Totoga, sulla leggendaria via di Manolo. A dire il vero "Spit sull'Everest" non funzionerebbe bene nemmeno come titolo di un libro. I libri ormai devono avere titoli composti, più musicali, più enigmatici. Più vendibili. Che so, "Il sesto spit", ad esempio. Sarebbe meglio dire settimo, il numero dispari fa sempre più figo. Poche righe più avanti scopro che il lavoro è stato fatto con un trapano Hilti, niente piantaspit a mano. Nemmeno quello - perDio Willie - anche tu. Va bè, tanto in fondo il buco per infilarci il tassello, in un modo o nell'altro, lo dovevano fare lo stesso.
Mi chiedo dove è la notizia, a questo punto.
Sono quasi in fondo all'articolo, le news in internet hanno sempre questa brevità così asettica che a volte mi chiedo se sono i fatti che cercano di propria iniziativa di accadere in forma didascalica; oppure se è per la necessità di riassumere i fatti in poche righe che storie da conoscere e da capire leggendo libri interi, per una vita intera, vanno perse per strada . Riprendo a leggere: "Fa riflettere questa notizia." Vero. Proseguo, siamo al fondo: "Ciò che ci sembra certo è che non saranno 6 spit a rendere l'Everest più facile o meno pericoloso, e questo vale soprattutto per gli “alpinisti” improvvisati." Perchè, per gli altri no? Mi faccio uno schema a biro e cerco di capire.
Continuo, frase di chiusura: "Come è sicuro d'altra parte che a livello simbolico questi 6 spit mettono il sigillo (almeno sull'Everest) ad un'epoca. Un'epoca per la verità che sulla più grande montagna della terra sembra ormai essersi chiusa da molto tempo." Il ragionamento sulla carta (pardon, sullo schermo) non fa una grinza: l'alpinismo vero è già morto da un pezzo, in effetti. Il giornalismo di montagna, inclusi i Club Scrittori di Montagna, i Cardi d'Argento, i Piolet d'Or ed i Filmfestival finanziati dai soldi pubblici delle Regioni Autonome, anche.
Quattro anni fa, per l'esattezza il 14 maggio 2005, un Ecureuil AS350B3della Eurocopter pilotato da Didier Delsalle nel corso di un test di volo in altissima quota, è atterrato in cima all'Everest. Senza autorizzazione ufficiale del Governo Nepalese, dettaglio curioso. Come se, facciamo un esempio, un elicottero nepalese atterrasse in cima alla Cupola di S.Pietro senza permesso, tanto per dire. E i giornali tacessero. I fatti non sono un mistero, c'è anche un video in rete.
Voi in questi quattro anni avete letto qualcosa di questo atterraggio sulle riviste di montagna? Qualche news nei siti internet italiani? Visto o sentito giornalisti indagare, chiedere spiegazioni, andare a fondo della cosa? Avete visto alpinisti schierarsi pro o contro, parlare della cosa, indignarsi? Opinionisti di montagna - i soliti che i giornali interpellano- su tutte le furie? Il CAI che si schiera e che solleva gli scudi? Io, no.
L'alpinismo di scoperta e il giornalismo di montagna sono virtualmente morti insieme, nello stesso giorno, il 14 maggio 2005. Peccato che buonaparte degli alpinisti e dei giornalisti di montagna fossero intenti a masturbarsi la mente con questioni etiche di portata ridicola.
Tipo i sei spit sull'Everest, appunto.
Peace & Powder
Emilio Previtali
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