mercoledì 3 febbraio 2010

LETTERA APERTA AL GASPA. | thewhiteplanet.it

Ciao Luca,

ti scrivo dal Giappone, si sta per concludere uno dei viaggi a caccia di neve fresca più strepitosi della mia vita. Credo questo sia il luogo più polveroso del pianeta, ma cosa ancora più interessante, il posto tra quelli in cui sono stato dove la passione per l'inverno, la neve fresca e lo scivolare travalica, realmente, in una specie di "tutto" da cui lasciarsi travolgere. Noi italiani abbiamo sempre quella sgradevole abitudine di considerare tutto quanto c'è a est del nostro paese qualcosa di irrilevante, secondario, marginale. Lontano. In realtà è la nostra cultura, la nostra conoscenza dei popoli che parlano o scrivono una lingua orientale ad essere limitata. Basti pensare che alcune delle più leggendarie avventure alpinistiche o esplorative della storia sono state realizzate da alpinisti Giapponesi, Russi, Cecoslovacchi, Polacchi e noi - noi tutti, occidentali - riusciamo soltanto, genericamente, a identificare una linea su una montagna con la via dei Giapponesi, la via dei Polacchi e così via. Nemmeno lo sforzo di imparare il nome di questi uomini e donne straordinari. Va bè.

Qui in Giappone, sull'isola di Hokkaido, ci sono, veramente, metri e metri di neve fresca. Nevica, continuamente, almeno una quindicina di ore al giorno. Guardare le previsioni del tempo è quasi commovente. Imbarazzante. Beh, volevo dirti che ho sciato solo a telemark, tutti i giorni. Ho sciato in neve profonda, profondissima, sul terreno vergine e sopra alle tracce degli altri, sui pendii aperti e in boschi di betulla strettissimi, sul ripido e sui pendii facili. Dappertutto insomma, realizzando quello che per me è il lato affascinante, l'essenza, del Telemark. Lo sci universale. La possibilità di andare ovunque, fare qualsiasi cosa, su qualsiasi terreno, a tutte le velocità, con tutti gli stili, con lo stesso attrezzo.

Poi ieri sono stato a farmi un giro sul thewhiteplanet.it. Ho visto quella cosa che hai scritto sullo sciare in tanti modi diversi e sulla depressione e lì ho trovato condensato, nero su bianco, l'essenza tecnica di quanto ho capito finora del telemark. Sciare qui ha messo alle corde la concezione di curva "italiana", se così vogliamo chiamarla, quella un po' narcisista che si specchia in un fine curva eterno da percorrere con le spalle in linea con il bacino. Sciare così è bellissimo, ma qui si può fare solo sui terreni poco ripidi e assolutamente vergini. Quando comici a muoverti nella neve smossa profonda oppure sul ripido o tra gli alberi, beh... semplicemente non si può fare. Perché, prima ragione su tutte le altre, non è un modo efficiente di muoversi nella neve. Non sempre, perlomeno.

Tu sai che a me, snowboarder, ha sempre affascinato l'idea di "entrare" dentro la curva inclinandomi, ruotando come in un frontside. Fondamentalmente questa è la ragione per cui ho cominciato: per sentire la sensazione dello snowboard andando con gli sci. Però ad un certo punto lo scorso anno ho cominciato a sentire che mancava qualcosa alla mia sciata, che letteralmente, anche in senso figurato, si arrotolava su se stessa. Allora ho cominciato a fare un po' di esperimenti, a cambiare, a ricombinare la successione dei movimenti, ad esplorare quelle che a me sembravano nuove possibilità di movimento. Mi ricordo anche che allo Stelvio, quest'autunno, mi hai chiesto cosa stavo provando a fare. Cosa cazzo stavo provando a fare, per l'esattezza. "Esperimenti" ti avevo risposto. Non tutti sono andati a buon segno, ovviamente. Forse ti ricordi di quel giorno.

Ebbene, qui a Niseko ho davvero avuto la possibilità di provare, nell'infinità di curve fatte nella neve più profonda che ho mai incontrato, un modo diverso di sciare. Un modo più efficiente, economico e preciso per divertirmi in tutta questa neve fresca. Ecco, quello che hai scritto nell'editoriale si thewhiteplanet, ancora una volta, è qualcosa che ho sentito passarmi attraverso nel mio viaggio di snowboarder che si è innamorato del telemark. Per quel che vale la mia opinione, dal mio punto di vista, hai ancora una volta tradotto in uno spunto di riflessione quello che ho sentito nelle mie gambe, nella mia testa, nella mia anima di sciatore a tallone libero. Fare telemark è come scrivere: non si tratta di combinare le parole tra loro. Non è matematica, non è una scienza esatta. Si tratta di creare una atmosfera attorno alle parole. Sciare cercando di creare una atmosfera. Quello è lo stile, secondo me. E' soprattutto quella cosa, quella sensazione corrispondente, identica, che rimarrà nella mente sia di chi scrive, sia di chi legge. La differenza che c'è tra un libretto di istruzioni e una pagina scritta da Alessandro Baricco, ad esempio. Ecco sciare a telemark dal mio punto di vista è come scrivere - o leggere uno scrittore bravo. Serve svelare il senso creando l'atmosfera attorno alle parole.

Poi non importa quale è la combinazione di parole che compone la frase.
[...]

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