mercoledì 2 maggio 2012

UNO SPRECO ENORME.


L'alpinismo - soprattutto in Italia - soffre un po' della stessa malattia di cui soffre il ciclismo.

Sembra indispensabile ogni volta che se ne parla tirare fuori le immagini in bianco e nero, gli eroi, le leggende del passato, i valori - quali valori? - la morte e poi soprattutto, sempre, la retorica.

Poi succede - è successo e continua a succedere - che generazioni intere di alpinisti, di arrampicatori, di sportivi della montagna, talenti smisurati, personaggi visionari e di avanguardia passino inosservati. Nuovi sport, nuove forme di espressione, nuovi modi di andare, nuove combinazioni, tutto ridotto a moda passeggera. Giovani in gamba, forti, determinati, liquidati come chiacchieroni incapaci ed esibizionisti.

Almeno fino a quando qualcuno di loro non muore, da qualche parte, su qualche montagna, facendo qualcosa che noi non osavamo nemmeno immaginare. Allora, solo allora, quando questi ragazzi non ci sono più, ci si accorge di loro e li si trasforma in eroi.

E tutto ricomincia, da capo, esattamente come prima. Senza cambiare mai.

E' una cosa perversa.
Uno spreco enorme.

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