martedì 27 novembre 2012

LE COSE MUOIONO.

In quel letto ci hai dormito per degli anni, sempre lo stesso. Una decina di anni fa lo avevi portato in questa nuova casa facendo il trasloco. Era già vecchio allora.

Poi è passato altro tempo, altri anni, altre notti ancora, chissà quante ne sono passate?

L'armadio invece era ancora più vecchio, quello era già lì da prima, quando sei entrato in questa casa c'era di già. Il vecchio inquilino ti aveva detto che anche lui se l'era trovato quando era arrivato, era ancora in buono stato, non aveva soldi da spendere. Lo aveva tenuto lì.

Tu avevi fatto lo stesso, lo avevi tenuto. Avevi aperto le ante e lo avevi riempito.

Ora c'è lei. E' una cosa seria, avete deciso di stare insieme per davvero. Di vivere insieme. Magari di fare un bambino, tra un po'.

Avete cominciato a cambiare delle cose. Quel mobiletto all'ingresso. La libreria dietro al divano, che è sempre quello di prima ma su cui lei ha messo una fodera nuova in tinta con le tende. Anche le tende, che prima non c'erano.

Sono comparse due piantine in cucina. Un tappetino arancio in bagno.

Una abat-jour sul tavolino nell'angolo, modello Arstid, 19.99€. All'Ikea.

Anche il letto nuovo è dell'Ikea. L'hai montato tu, appena adesso, oggi pomeriggio.

Mentre smontavi quell'altro vecchio guardavi tutti quei segni sul legno, che sembravano pochi, e invece. Alcuni li hai riconosciuti e sfiorati con le dita come fossero cicatrici, ti ricordavi esattamente da chi, come e quando erano stati fatti.

Come quel graffio di quella volta che ti era caduta la bici da corsa, il segno del pedale, in fondo al letto.
Poi uno sgraffio sul pomolo destro fatto mentre lo portavate su dalle scale, tu e tuo fratello, quando sei venuto qui ad abitare. Una bruciatura di sigaretta, sul fianchetto di destra, dalla tua parte.

Adesso quel letto e quell'armadio sono a pezzi nel cortile di casa tua. Sono dei pezzi di legno senza più una storia da raccontare, senza senso, senza forma. Un mucchio. Sono come corpi disarticolati e contorti, che hanno vissuto e sofferto, e che ora infine stai per portare via. Ti viene in mente una di quelle foto delle fosse comuni di Aushwitz. Quei corpi buttati lì. Quegli occhi sbarrati. Quelle spalle rigirate dalla parte sbagliata.

Tuo fratello sta facendo retro con il furgone, arretra piano piano, tu gli fai segno con la mano di venire ancora indietro. Poi dici stop, tenendo il braccio alzato e girando la mano dall'altra parte. La luce dei freni del furgone incendia il buio dipingendo di rosso la catasta di legni e i muri delle case intorno e il motorino che c'è parcheggiato lì a fianco e il cassonetto della immondizia. Hai una sigaretta tra le dita, aspiri e butti fuori.

Fumo, nell'aria.

Tuo fratello apre la portiera e scende dal furgone, si sta infilando i guanti da lavoro e intanto guarda quel mucchio informe di legno e assi e ante e mensole e testate del letto che ci sono accatastate per terra. Fa per aprire il portellone dietro.

Tu gli dici Aspetta un attimo. Gli allunghi il pacchetto di sigarette. I suoi occhi guardano te poi il mucchio di assi a terra, poi ancora te. C'è un secondo di niente, vi guardate.

Allora lui si toglie i guanti. Prende una sigaretta e tu gliela accendi, poi fai un passo indietro e ti siedi su quel motorino che c'è lì. Ne accendi un'altra nuova anche per te. Sarà la ventesima, oggi.

Lui sta in piedi. Fumate e vi guardate. Lui guarda quel mucchio di assi, poi guarda ancora te.
Vi fissate per una decina di secondi. Ti sorride e ti fa quello stesso sorriso che ti faceva da bambino. Quelle fessure degli occhi che si stringono.

C'è un altro momento di niente che sembra infinito.

Il rumore di una televisione che esce da una finestra del primo piano.

Adesso andiamo, gli dici

E poi invece restate lì, al buio della sera, ancora per un po'. In silenzio a fumare.
Senza dire niente.

Che non c'è niente da dire.


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