martedì 2 luglio 2013

BUON COMPLEANNO DANIELE.

Del giorno in cui è nato mio figlio ricordo la luce bianca e il cielo pallido di luglio.

Ricordo il temporale della notte e poi l'aria fresca del mattino che entrava dalle finestre e che spostava le tende del soggiorno. Ricordo l'asfalto già asciutto e le pozzanghere scure al bordo della strada mentre guidavo verso l'ospedale. Ricordo il senso di inadeguatezza e di insensata emergenza che accompagnava ogni gesto e ogni pensiero che facevo dentro alla sala parto mentre mia moglie stava per partorire.

Ricordo che dopo il parto, quando io mi sentivo svuotato ed esausto e avrei voluto buttarmi in un letto e mettermi a dormire per diciassette o diciotto anni, una vecchia infermiera mi disse Prenda suo figlio che adesso andiamo a lavarlo e io le chiesi se per caso non poteva prenderlo in mano e portarlo lei, mio figlio. Lei mi guardò negli occhi e mi disse in modo solenne, come per far cominciare qualcosa Quello è suo figlio ed è lei che lo deve prendere, stia tranquillo che non si rompe mica. In effetti, dopo le contorsioni che gli avevo visto fare durante il parto a mio figlio, poteva succedere di tutto tranne che si rompesse o che si facesse male.

Allora lo presi in mano, non sapevo neanche come prenderlo, era una cosa piccolissima e nuda e fragile e delicata e io lo tenevo rigido come si tiene un grosso vaso di porcellana con dentro dei fiori e cominciai a capire che invece lui era una cosa diversa, che quella che serviva era una delicatezza differente, più mobile e sincera, meno tesa, meno preoccupata, una delicatezza più coraggiosa che interagisse con lui che nel frattempo tremava e piangeva e si muoveva e probabilmente chiedeva qualcosa a me senza che io capissi cosa. Daniele era una cosa viva. Piangeva soprattutto, non aveva mai smesso un secondo da quando era nato, ma per la prima volta in vita mia il pianto di un bambino non mi sembrò un evento preoccupante o una scocciatura o un modo di allontanare qualcuno, mi sembrò semplicemente un modo primordiale di comunicare. Uscii dalla sala parto tenendo lui tra le mani e seguendo l'infermiera attraversai un lungo corridoio fino ad arrivare in una stanza dove io non vedevo nessuna vasca da bagno. Mi guardai meglio in giro, sempre tenendo mio figlio tra le mani come si tiene in mano della biancheria che sgocciola, ma non capivo che cosa dovevo fare, non capivo dove bisognava andare, non capivo più niente di niente.

Avevo paura, soprattutto paura, il terrore di non andare bene e di non essere all'altezza della responsabilità che a me come a ogni padre viene assegnata con la nascita del proprio figlio. La vecchia infermiera credo che conoscesse a menadito tutto il mio sgomento e la mia paura e senza dire una sola parola superflua aprì il rubinetto di un lavandino grande come quello che avevo a casa in cucina, fece scorrere un po' di acqua fin che non divenne calda al punto giusto e poi lo riempì. Mi disse Lo metta qui dentro suo figlio, lo lavi bene e controlli se c'è tutto. C'è tutto cosa? pensai. Altro terrore si aggiunse al terrore. Allora io, in quello che fu il primo vero momento di intimità con mio figlio, guardai le sue dita delle mani e dei piedi e le contai. Vidi che c'erano tutte. Guardai le orecchie, e c'erano. Guardai il naso, gli occhi, i gomiti e le ginocchia e i piedi e le mani e c'era tutto. Mi sembrava tutto a posto. Una felicità immensa si impadronì di me, continuai a lavarlo e ad accarezzarlo mio figlio che dentro all'acqua aveva smesso di piangere e come sollevato dal peso del mondo dissi all'infermiera Venti, le dita delle mani e dei piedi ci sono tutte!

Capii che quello era il momento esatto in cui da genitore ero diventato padre.

Lei mi rispose Bene Signor Previtali, per cominciare questa è una buona cosa. Da allora ne è passato di tempo. Quindici anni esatti.

Buon compleanno, Daniele.     

Nessun commento: