domenica 7 luglio 2013

METTERSI AL POSTO DI UN ALTRO.

Ieri alla inaugurazione della mostra fotografica di Matteo Zanga a Clusone mi si avvicina un bambino e mi chiede Tu sei quello tutto spettinato che c'è nella foto? C'è un mio ritratto, alla mostra.

Sì, sono io gli dico.
Mi guarda meglio, c'è un movimento quasi impercettibile dei suoi occhi verso i miei capelli.
E' vero che sei stato con lo snowboard quattro volte su una montagna di 8000 metri?
E' vero.
Sei stato sull'Everest?
No, all'Everest no.

C'è un po' di delusione sul suo volto adesso, una specie di stacco nel suo entusiasmo.

Però sono stato su una montagna vicina all'Everest, gli dico.
Non gli interessa.

Sei stato su quattro montagne di 8000 metri?
Sono stato su due, due volte al Cho-Oyu e due volte allo Shishapangma.

Adesso mi fissa ancora con quello sguardo, lo stesso di prima. Non capisco, mi dice.
Non capisci cosa, chiedo?
Non capisco il perché. Perché sei andato due volte sempre sulla stessa montagna? Non potevi andare su un'altra? Che senso ha?

Penso per un attimo a cosa potrei rispondere.

Tu sai sciare? gli chiedo io.
Sì, mi dice. Faccio anche le gare.
E hai mai fatto due volte la stessa seggiovia e due volte la stessa pista?
Centinaia di volte, mi risponde.
E perché lo fai? gli chiedo.
Per la sensazione che provo mentre scendo quando faccio le curve. Per imparare. Per allenamento.

Ecco - gli dico - per me è lo stesso. Lo faccio per la sensazione che provo mentre scendo. Per imparare delle cose nuove. E perchè mi alleno, mi piace allenarmi.

Se ne sta per un momento in silenzio a pensare e tiene lo sguardo a terra, la mia risposta non lo convince. Io intanto parlo con delle altre persone adulte che ci sono lì intorno ma lo tengo d'occhio, lo so che non abbiamo ancora finito di parlare.

Mi dice Penso di aver capito: lo fai perché sciare è bello.
Poi intuisco che c'è dell'altro, ancora qualcosa che mi devi chiedere, lo guardo come dire Allora dimmi?

Ma allora per cosa ti alleni tu, veramente? insiste.
Quello non lo so ancora per cosa mi alleno, mi dispiace, a questo non so rispondere. E' da una vita che mi alleno e che mi preparo per qualcosa e che cerco di imparare, ma non lo so ancora esattamente per che cosa mi preparo. Non conosco lo scopo. Non ancora.

Silenzio.

Poi dopo un po' mi dice, con l'urgenza di semplificare e di dare un senso a tutto il nostro discorso Forse ti alleni a vivere.
Forse hai ragione, gli dico io. Forse mi alleno a vivere, può darsi.
Poi mi saluta e va via.

Ecco, pensavo che a questo servono le mostre e i convegni e le conferenze: non per promuoversi o per valorizzare qualcosa o per comunicare o per vendere niente, o come dicono alcuni, per creare delle opportunità. Quelle sono cazzate. Le mostre e le conferenze e gli incontri in cui si parla servono soprattutto per cercare di capire, per ascoltare, per conoscere altri modi di pensare o di vivere o di vedere le cose.

Per conoscere altri sguardi.
Altrimenti si potrebbe fare a meno di andarci.

Se le mostre e il nostro raccontarci hanno un valore, è quello di farci entrare l'uno dentro l'altro. Tutti noi tra di noi possiamo mostrarci gentili e cortesi reciprocamente. Disponibili. Ma nessuno di noi saprà mai esattamente cosa sta pensando l'altro che abbiamo di fronte. Nessuno di noi potrà mai essere veramente, integralmente, "l'altro".

Però per quanto posso capire io, a volte succede che incontrando qualcuno e ascoltandolo parlare con pazienza e ascoltandolo mentre racconta, capita che si creano dei buchi e delle crepe nel nostro essere, delle fessure dentro a questi muri che ci separano e ci tengono separati, e capita che un po' di quello che noi siamo passa dentro a un altra persona e un po' di quello che è un altra persona, passa dentro di noi. A me questo bambino di cui non conosco nemmeno il nome, ha insegnato tantissimo. Mi ha passato delle cose. E forse anche io a lui, ne ho passata qualcuna. O almeno, lo spero.

Questo in fondo significa esplorare.

Significa mettere noi stessi volontariamente dentro a questi spazi e a queste fenditure che si creano e provare a capire cosa c'è dentro a un altra persona. Provare a capire cosa sente l'altro. Farlo reciprocamente.

E' così che si va avanti.
O almeno, io credo.   

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