giovedì 12 settembre 2013

FILIPPO.

Il mio posto in aula, alla Scuola Holden, era sempre lo stesso: ultima fila nell'angolo, vicino al calorifero. Sempre lì. La sedia alla mia sinistra era quasi sempre vuota, ci si veniva a sedere ogni tanto Federico Bianchi o eventualmente uno dei ritardatari che entrava dalla porta come l'uomo o la donna invisibile e che poi percorreva il corridoio dell'ultima fila camminando sulle punte cercando di non disturbare. Quindi spessissimo alla mia sinistra, a lezione iniziata, finiva per sedersi Elena Scarpellini. Marco Bifulco si sedeva sempre davanti, invece, in prima fila. Milena D'Aloia stava sempre in seconda fila, al centro della stanza. Alle mie spalle c'era il muro. Alla mia destra c'era il calorifero, un po' più in là la finestra. Fuori dalla finestra stavano gli alberi, rami neri l'inverno e foglie verdi d'estate, sembrava che i cespugli galleggiassero dell'aria perché da dove eravamo noi al primo piano in estate non si vedevano né il tronco né i rami, sembrava che gli alberi non fossero alberi ma nuvole di foglie sospese sopra via Dante.

Sulla sedia davanti a me, vicino alla finestra, si sedeva sempre un mio amico che di solito indossava il cappotto e sotto il cappotto la giacca e poi la giacca, durante le lezioni, la appendeva allo schienale della sedia e le maniche della sua giacca spazzolavano il pavimento e anche la sua borsa anche quella appesa allo schienale della sedia spazzolava il pavimento e a me questa cosa mi metteva in ansia, ma veramente in ansia, quelle maniche che strisciavano sul pavimento, io le vedevo dalla mia posizione nell'angolo, avanti e indietro nella polvere, ma io non glielo dicevo, al mio amico. Ogni tanto solo, mentre lui non mi vedeva, quando andava in bagno o alla macchinetta a prendere dell'acqua da bere gli sollevavo le maniche della giacca da terra e le sistemavo in qualche modo sopra alla borsa, ma lui non sembrava preoccupato della cosa, credo che non se ne sia mai accorto né delle maniche a terra né di questo gesto che facevo io. Questo mio amico un giorno è venuto a scuola zoppicando, è arrivato in ritardo, è entrato in classe ma lui però senza fingere di essere l'uomo invisibile, ha salutato e ha detto Scusate per il ritardo e zoppicando malamente è venuto a sedersi nella sedia dei ritardatari vicino a me. Quel giorno aveva anche un paio di occhiali neri. Si è seduto e li ha tolti e li ha messi nel taschino, io gli ho detto Cazzo hai fatto? e lui mi ha raccontato una lunga storia, mi pare che si fosse fatto male giocando a calcetto, però di questo non sono sicuro. Gli ho detto forse è meglio se ti fai vedere, che magari il piede è rotto, e lui ha detto in effetti quasi quasi mi faccio vedere che forse hai ragione. Gliel'abbiamo detto tutti di farsi vedere, infatti poi si è fatto vedere e la caviglia era rotta e l'hanno ingessato. La settimana dopo è venuto alla scuola ingessato, con il piedone, però senza stampelle.

Andava in giro senza stampelle perché se no diceva che non riusciva a fare le sue cose. Mi sembrava strano vederlo camminare con quel piede, appoggiava il tallone, lo caricava e ruotava la punta del piede verso l'esterno, come se niente fosse, come se fosse l'andatura più normale del mondo, tacco, punta fuori, passo; tacco, punta fuori, passo; anche il gesso dopo un po' a forza di camminarci sopra gli si è rammollito tutto, io ero preoccupato che con le caviglie non si scherza, lui invece sembrava tranquillo, nessun problema. Camminava, adagio, zoppicando, ma camminava, come niente fosse. Questo mio amico aveva una macchina Mercedes berlina colore argento metallizzato, una macchina inconsueta per uno della nostra età e per uno come lui, avrei detto un'auto da persone di circa venti o venticinque anni più vecchie di noi, una bella macchina niente da dire, che poi cosa c'è da dire sulle macchine, però pensavo anche che quella poteva essere la macchina di suo padre che adesso non la usava più, chissà se c'era ancora suo padre, o di un suo zio alla quale lui era affezionato, quindi non gli ho mai chiesto niente della macchina, magari era perché gli piaceva proprio, però io pensavo che forse quella macchina era come un cerotto che stava sopra una ferita, allora niente, non ho mai chiesto niente.

Il mio amico di cui vi parlo quando facevamo degli esercizi di scrittura scriveva delle cose che anche se dovevamo scrivere solo una frase semplice o un racconto sembravano delle poesie, io certe volte non le capivo bene magari le sue parole, che quelle erano delle parole che erano come dei lampi, che vanno veloce, velocissime, troppo veloci per me, veloci come quando c'è un bagliore nel cielo e ti resta la luce negli occhi anche se fuori c'è solo il buio, e quelle parole lì intanto comunque restano e bisogna avere coraggio per scriverle e per dirle davanti a tutti, e lui le diceva. Io non sarei stato capace, di dirle. Lui sì. Una volta invece ha raccontato una storia di sua mamma credo - o forse di una sua zia, non mi ricordo - che faceva la pettinatrice e ha descritto tutto quello che succede dentro al negozio di una pettinatrice in un paese di provincia e io quella volta mi sono ricordato di quando ero piccolo e mia mamma qualche volta andava dalla pettinatrice e mi portava con se e io giocavo da solo a nascondermi sotto ai caschi della messa in piega e mi mettevo in ginocchio sul pavimento della pettinatrice con i pantaloni corti, sul pavimento c'erano dei capelli che si attaccavano alle mie ginocchia e ai palmi delle mie mani, capelli che facevano delle curve rotonde e morbide e che erano diversi da quelli che c'erano sul pavimento del barbiere dove andavo con mio padre. Quelli erano pezzetti di capelli dritti e che pungevano, invece. E anche l'odore era diverso, l'odore della pettinatrice è un odore dolcialstro che sembra di marmellata quando apri il barattolo, è un odore giallo direi e l'odore dei barbieri invece è un odore più più secco, più tagliente, più freddo, è un odore azzurro.

Ecco, comunque adesso volevo dire, senza andare ancora per le lunghe, che questo mio amico - che di nome si chiama Filippo Margiaria - dopo la scuola ha sistemato il piede e con un suo amico ha fondato una casa di produzione cinematografica che si chiama Aidìa e adesso con questa casa di produzione ha prodotto un film che si chiama "The Repairman" che a quanto pare è un bel film, un opera prima forse addirittura bellissima, questo film è stato anche invitato al Raindance Film Festival di Londra e il Telegraph oggi ne ha parlato bene. Ecco, anche io volevo parlarne bene del film, ma non avendolo ancora visto, vi ho parlato del mio amico.  Così adesso anche voi lo conoscete.

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