giovedì 17 ottobre 2013

COSA E' UNA CORDATA.



C'era Alexander Megos che saliva sulla via più dura del Kalymnos Climbing Festival, l'8c+ che era l'unica via delle quattro vie che era resistita al suo salire senza cadere al primo tentativo. Era il secondo tentativo.

Era lì in parete Alexander, un puntino verde a tre quarti della via, compresso come una molla con un piede altissimo e il ginocchio davanti alla bocca, era lì che studiava i movimenti, che ragionava su come muoversi, su cosa fare, su dove andare. Alla base della via c'era Kilian Fishuber, che era il suo principale avversario, in gergo giornalistico bisognerebbe dire il suo rivale, in realtà l'unico punteggi alla mano, almeno fino a quel punto, che a Megos avrebbe potuto tentare di rimanergli davanti nella classifica finale. 

Kilian era lì sotto con la schiena piegata all'indietro e lo sguardo rivolto in alto che spiegava i movimenti al suo avversario, si arrampicava nell'aria muovendo le braccia su appigli immaginari e spiegava all'altro parlando in tedesco, Megos è tedesco e Kilian è austriaco. Kilian quella via l'aveva appena finita di provare, ce l'aveva ancora tutta in memoria, appiglio dopo appiglio. La voce di Kilian rimbombava sulle pareti gialle dello strapiombo e poi il vento la portava in alto, il pubblico stava tutto in religioso silenzio ad ascoltare come se a parlarsi fossero due extraterrestri che si dicevano tra loro di cose non comprensibili in un linguaggio altrettanto incomprensibile, io ero dall'altra parte della parete a fotografare e a godermi la scena, di fronte, seduto su un sasso. 

A un certo punto Megos ha fatto un movimento con i piedi e ha liberato una mano, ha preso un appiglio con la sinistra ed è uscito da una specie di impasse e si è avviato a concludere, sopra era più facile, c'era Kilian che faceva il tifo per lui, che applaudiva e urlava, era chiaro che a quel punto la competizione stava per finire e che a vincerla sarebbe stato Megos. La gioia di Kilian Fishuber era sincera, abbondante, pura. Era gioia per il suo principale avversario, colui che lo aveva appena battuto e lo aveva relegato al secondo posto in classifica, e questa cosa che Kilian continuasse ad applaudire e a gioire lealmente è per me qualcosa di straordinario, di bellissimo, la ragione per cui sono felice di pensare all'arrampicata sportiva come alla origine della mia storia sportiva, come al codice genetico di ciascuna delle cose che provo a fare quando mi metto un pettorale sulla schiena o quando cerco di battere me stesso andando oltre i miei limiti. 

Le gare di arrampicata non possiamo definirle sport, non quelle come questa del Kalymnos Climbing Festival perlomeno, perché nello sport c'è chi vince e c'è chi perde, c'è una classifica con dei numeri e una scala di valori e qui invece c'è molto di più, oltre ad esserci un primo classificato e un secondo e un terzo e così via, qui c'è soprattutto l'idea della cordata. Anche se non ci si lega insieme l'idea del sodalizio con il tuo compagno di cordata, con i tuoi compagni che sono anche i tuoi avversari, rimane tuttora integro nelle gare di arrampicata, come un valore, come nell'alpinismo, come la vera forza motrice che unisce l'arrampicata sportiva all'esplorazione. 

Le gare di arrampicata come quella che ho visto a Kalymnos non sono alpinismo e non sono competizione. Non sono neanche sport. Sono un'altra cosa, qualcosa di più, una cosa bellissima per la quale forse, a questo punto, dovremmo inventare un nome diverso. 

Che poi a pensarci bene, per cominciare, una parola ce l'abbiamo di già, e quella parola è: Festival.  

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