domenica 6 ottobre 2013

CRONOSQUADRE.

Che a fare la gara dura sono i corridori e non il percorso, quello lo avevo giá imparato. 

Poi una volta ho sentito un pro del ciclismo, non un capitano ma un gregario d'eccellenza, dire in un intervista che le cronosquadre sono il giorno di dolore e di sofferenza di ogni ciclista che non lotta per la maglia, io non l'avevo capito bene cosa intendeva, dico bene veramente, con le parole dolore e sofferenza, cosa intendeva quel corridore. Non avevo capito proprio. 

Ero andato indietro con il pensiero alle cronosquadre del triathlon o alle immagini delle gare viste in tv, avevo cercato di immaginare ripassando mentalmente lo sforzo delle cronometro individuali, facendo poi le debite proporzioni. Ma mi sembrava impossibile poter soffrire stando sopra una bici più di quanto si soffre in una crono individuale, ma anche impossibile soffrire più che ad andare in cima a una montagna in alta quota, ad esempio. Non capivo. 

Oggi ho capito. 

Ho capito cosa significa sforzarsi di tenere la ruota di un essere umano che per mezzo kilometro pedala a tutta spremendo tutto quello che ha, prima di farsi da parte e lasciare spazio al compagno che ha dietro il quale fa altrettanto e poi quel l'altro e poi quell'altro e poi, quando vorresti solo smettere di pedalare e buttarti in un prato a riposare oppure dire Hey, ci fermiamo tutti insieme per un buon caffè? invece che fare lo spiritoso a quel punto tocca a te, é il tuo turno. 

Esci all'aria e cerchi di farti piccolo e inconsistente come una scultura fatta di rete o come una racchetta da tennis, spingi sui pedali, lo sguardo perso nel nulla da qualche parte in tra il manubrio e l'asfalto. Dai tutto, che sorprendentemente é molto molto di più di quanto immaginavi di poter dare, cinquecento metri massimo seicento poi ti fai da parte e lasci sfilare gli altri. Cerchi di rimandare l'urto del vomito, é l'acido lattico che ti intossica e che ti appanna la mente, quando passa il quarto della fila devi ributtarti subito dentro, al momento giusto, al riparo, e devi fare alla svelta a fare scendere le pulsazioni e a normalizzare il respiro perché tra poco sará di nuovo il tuo turno. A farti soffrire in più, oltre a questa tortura che si ripete ogni qualche minuto, ci sono i tratti in salita, gli avversari da sorpassare, i buchi da chiudere, il vento contro, l'asfalto ruvido, le curve e poi i compagni di squadra più forti di te, quei bastardi. Che vanno così forte. 

Chiunque é più forte di te quando esce dalla tua scia, questa é la prima cosa che devi imparare. Questa é l'origine della sofferenza. La regola numero uno. I tuoi compagni sono gli amici e sono anche i nemici, é difficile da spiegare ma é così. Li ami e li odi allo stesso tempo. Li ami quando stanno davanti e ti sembra che vadano piano, regolari, e li odi quando si fanno da parte e tirare tocca a te. 

Lì, capisci. 

Capisci la velocitá e il peso dell'aria. Capisci l'aerodinamica e il vento e perfino gli alettoni della Formula1. 

Lì li odi i tuoi compagni, come si odia un avversario che ti porta al limite e li ami anche, come si ama un fratello più grande o un nonno che parla poco o un padre che ti insegna a dare di più, a non mollare, a non dubitare mai, almeno da un certo punto in avanti. Odi gli uomini, ami la squadra. Odi te stesso, ami te stesso. Quando stai per mollare odi te stesso e quando capisci che stai dando il massimo, invece, ti esalti. Prima sei uno, poi sei un altro, sei eroe e sei vigliacco, sei angelo e poi sei canaglia. Ci siamo in due, su questa bici. 

Quando é di nuovo il tuo turno per tirare ti sembra impossibile di non essere ancora morto, eppure sei ancora lì, vivo, vivo come non mai, e tocca a te, chi ti precede si fa da parte e tu chiedi al tuo cervello di spegnersi, di non pensare, di non sentire. Abbassi la testa e ti fai di nuovo sottile, la lama di un coltello, spingi sui pedali e cerchi di ignorare quella voce che ti dice basta, quella parte di te che invece di essere corridore adesso vorrebbe essere spettatore o motociclista o cicloamatore o tombino o semaforo o striscia pedonale o signora con il passeggino o bambino piccolo che guarda la gara seduto su una bici da cross, una piccola bici verde con delle piccole ruote tassellate, non comprarla quando sarai grande la bici da corsa, bambino, non comprarla, compra una moto oppure un giornale, o un fucile da caccia, o comprati una barca a vela, che lì davanti c'é il lago. Oppure sì, invece, compratene una, di bici. Una da crono in carbonio con una lenticolare e un casco a punta. E vai, a tutta, sempre, fin che ne hai, anche se costa fatica.

Oggi ho capito. Oggi é stata una bella gara e un bel giorno. Uno di quelli in cui con un solo passo in avanti, fai un sacco di strada.

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