martedì 14 gennaio 2014

QUELLO CHE HO IMPARATO.

Ho imparato che in ogni spedizione, su ogni grande montagna, le prime salite di acclimatamento sono le più importanti, le più utili, in ogni senso. Servono a prendere, letteralmente, le misure della montagna. Servono a individuare la via di salita, le eventuali zone di pericolo e quelle di riparo, le vie di fuga, i versanti da preferire o quelli da da evitare. Servono a caricare i campi alti di materiali che verranno utili più in alto ancora, più avanti, per il tentativo alla cima. Le prime salite in quota servono a fare spazio nella nostra mente e a metterci alle spalle le cose inutili, superflue e poco importanti che ci tiriamo dietro e che ci trattengono. Servono a prendere ritmo e affiatamento con il compagno. 

Ma più di tutto, queste salite, servono a rendersi conto di quanto noi siamo minuscoli e insignificanti rispetto alla grandezza della natura e rispetto a queste montagne. Siamo nulla, un filo d'aria, niente. Rendersi conto della propria vulnerabilità e dei propri limiti é il modo migliore che conosco per affrontare le difficoltà. Il Nanga é enorme, ma non é questo il punto. Non importa se le difficoltà da superare sono grandi o piccole, se si tratta di montagne da scalare o di altre cose della vita, funziona sempre così per me, il meccanismo é lo stesso. Per andare oltre, per migliorare, in ogni campo, devo conoscere i miei limiti, individuarli e fissarli. Devo navigare le mie paure, senza girarci intorno. É solo allora, nel momento in cui metto a fuoco la possibilità di fallire, che sono pronto ad andare oltre. Non ci sarebbe nessun oltre, nessuna barriera da oltrepassare, nessuna soddisfazione o nessun senso nello spingersi avanti, nell'alpinismo, nello sci o nella vita di tutti i giorni, se io non conoscessi e accettassi i miei limiti come qualcosa da superare oppure altre volte, senza vergogna, come una linea da non oltrepassare. 




[Me, going up to C1, foto ©thenorthface/david_göttler]

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