giovedì 6 marzo 2014

COMPLEANNO SULLA KARKORUM HIGHWAY.

Ho sentito il motore spegnersi e mi sono svegliato. Mi sono guardato in giro mezzo addormentato e mi hanno fatto segno di scendere, la porta era già aperta e Simone e David stavano già scendendo. "Ten minutes."Sono sceso dal pulmino un po' assonnato e mi sono diretto verso quello che sembrava un bar, era Amin a indicarmi la strada facendomi segno con il braccio. Fuori dal locale che poteva sembrare un meccanico o un negozio di tessuti o un calzolaio c'era una insegna della Coca Cola e appena più in lá davanti alla vetrata c'era un ragazzo con un banco che vendeva delle bibite e delle lattine, alcune non le avevo mai viste prima. Appena entrato nel locale non riuscivo quasi a vedere tanto era buio. Non si capiva bene se era un bar o un garage. C'erano dei tavolini e delle sedie in plastica, tipo quelle da giardino. Sopra i tavolini c'erano delle thermos arancioni che poi avrei imparato a riconoscere e a vedere in ogni luogo pubblico del Pakistan, contengono acqua tiepida o bollente, a seconda dei casi. Il locale era di forma rettangolare, il lato lungo interrotto da una piccola vetrina, insufficiente, quadrata, al centro. Sulla linea mediana della stanza, proprio nel mezzo, c'erano quattro colonne di cemento armato che in parte nascondevano la vista, colonne nemmeno tanto grosse. Snelle. In fondo vicino al muro si intravedevano quattro uomini seduti con una lunga barba grigia e in abbigliamento pakistano che tenevano una tazza fumante di qualche cosa in mano. Chai, penso. Erano fermi che mi fissavano, tutti si sono fermati dentro al locale quando siamo entrati, io ho salutato con un cenno profondo del capo. Mi é uscito anche un Buongiorno invece che un good morning, non so, ho avuto la sensazione che mi capissero meglio. Simone e Davide erano interdetti anche loro, non sapevamo bene se stare lì o tornare fuori. Tutti dentro al bar ci hanno guardati ma non hanno risposto al saluto, poi dopo poco sono andati avanti a parlare delle loro cose, intanto alle mie spalle con passo veloce é passato in garzone con un vassoio di metallo con sopra delle tazze, anche quelle di metallo. Ho fatto qualche passo in avanti in avanscoperta, il pavimento era di cemento, anche i muri erano di cemento, grigi, sotto la suola delle scarpe si sentiva quella specie di brecciolino sottile che scricchiola. Mi sono avvicinato a una fila di tavoli che stava esattamente sulla mezzeria della stanza, tra le colonne, tenendomi dalla parte del muro in modo da avere la vetrata con la luce che entrava proprio di fronte. Ero al centro esatto della stanza. Ho fatto segno a Simone e David che erano ai lati, uno da una parte e uno dall'altra, di prendere una sedia e di sedersi. Mi sono avvicinato a una sedia e l'ho presa e l'ho tirata indietro e ho avvertito quella sensazione di leggerezza che hanno tutte le sedie di plastica quando le muovi e le sollevi. Mentre la tiravo indietro strisciandola sul pavimento la sedia faceva quei piccoli saltelli, minuscoli, che sono dati più dal fatto che le gambe sono flessibili che dall'assenza di peso del materiale con cui sono costruite. Mi sono seduto, Simone e David anche loro si sono seduti al mio fianco. Di fronte a me c'era un signore che faceva nervosamente dei numeri di telefono, poi ascoltava, poi rifaceva il numero, poi ascoltava. Sembrava proprio che nessuno gli rispondesse, al telefono, intanto fumava. Simone ha appoggiato la macchina fotografica sul tavolo e si é messo a giocare con il telefonino, io l'ho presa. L'ho piazzata davanti a me sul tavolo e ho cercato l'inquadratura e ho impostato i tempi e il diaframma. Intanto l'uomo davanti faceva sempre dei numeri sul telefonino e provava a chiamare, sempre più nervoso. Nessuno gli rispondeva. Poi a un certo punto é entrato un ragazzino nel locale e gli ha detto qualcosa all'orecchio, lui ha fatto cenno di sì con il capo, ha dato un ultima aspirata alla sigaretta e l'ha buttata in terra intanto che il ragazzino usciva di corsa dalla porta. É arrivato da noi il garzone del locale, ci ha chiesto cosa volevamo ordinare, abbiamo detto Dudka Chai. Tre Dudka Chai. Intanto il tipo si é acceso un'altra sigaretta e ha ripreso a chiamare con il telefonino, stava esattamente di fronte a me, seduto con le gambe accavallate, con il piede della gamba che stava sopra dondolava il piede e la punta della scarpa talmente forte che sembrava volesse togliersela. In quel momento ho preso la macchina é ho scattato. Poi ho ho messa via la macchina, in tasca, non volevo che nessuno mi vedesse fotografare. Non mi sembrava il caso. In quel momento é entrato un uomo nel locale, alto, grosso, con una lunga barba e senza baffi, camminava con un andatura un po' ciondolante, i piedi piatti appoggiati a papera, avanzava piano tenendo una valigetta di pelle in mano. Si é seduto davanti all'uomo, senza salutarlo, ha appoggiato la borsa di pelle sulle ginocchia. Si sono guardati per qualche secondo negli occhi, poi il grassone ha incominciato a parlare, a bassa voce, molto pacatamente. Sembrava che stesse spiegando qualcosa e faceva dei gran gesti con le mani. Il tipo del telefonino e della sigaretta sembrava sempre più nervoso, sembrava che la rabbia gli stesse montando dentro. La gamba e il piede che teneva accavallati sembravano impazziti, le braccia conserte. Nel frattempo é entrato un tizio magro con un giubbino di pelle nera che teneva un mazzo di chiavi in mano e si é seduto a fianco al grassone, un po' dietro. Il tizio della sigaretta é scattato in piedi e si é messo a sbraitare, ha buttato la sigaretta a terra e l'ha schiacciata con il piede, il grassone gli ha preso i polsi e l'ha fatto di nuovo sedere. Si é messo di nuovo a parlare, faceva dei grandi gesti con le mani, meno grandi di prima, però. Mani che su allargavano in una serie di cerchi nell'aria che invitavano alla pazienza, alla calma. Il tizio nel frattempo si é acceso un' altra sigaretta, a quel punto sembrava quasi rassegnato. Fino a quando il tizio che stava a fianco al grassone ha detto qualcosa. A quel punto é scattato in piedi. Ha buttato a terra la sigaretta e ha detto qualcosa, ma senza strillare, poi é uscito fuori con un passo veloce, camminando con le braccia tese come un soldato. Dalla vetrata l'ho visto passare e immagino sia salito in auto. Ho sentito un motore accendersi e poi il motore andare su di giri. L'auto ha fatto manovra, una retro in curva e poi una partenza tirando la prima. Intanto il garzone ha portato un vassoio con una tazza di metallo al grassone, lui l'ha afferrata per l'impugnatura e poi l'ha poggiata davanti a se sul tavolino dopo aver bevuto un breve sorso, poi si é voltato verso di noi che sedevamo alla sua destra. Io ho salutato inchinando la testa, mi sono seduto meglio sulla sedia, non ero seduto bene, ero un po' sdraiato. Lui continuava a fissarmi. Allora ho finito quello che c'era da bere dalla mia tazza e mi sono alzato. Nel frattempo mi sono accorto che Simone e David che nel frattempo si erano già alzati in piedi erano già andati fuori. Ho salutato di nuovo e sono uscito, Amin é venuto a pagare il conto. Quando sono salito sul pullman e ho cominciato a viaggiare ho cominciato a chiedermi di cosa potessero discutere quei due uomini. Soldi, pensavo all'inizio. Poi ho cambiato idea: Donne. Mogli. Affari. O forse, molto più probabilmente, tutte e quattro le cose insieme.

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