mercoledì 23 aprile 2014

COME TUTTE LE PRIMAVERE, EVEREST.

Buona parte dei discorsi che sento sull'Everest arrivano puntualmente a primavera, verso la metà di aprile e se ne parla di solito fin verso la fine di maggio non oltre, sento opinioni, grandi slanci di pensiero, ragionamenti sull'etica in difesa del grande alpinismo e - esagero - della libertà.

Poi dopo, da fine maggio ad aprile dell'anno dopo di Everest non se ne parla più, se non in occasione delle tragedie della "montagna assassina", verso agosto, quando la maggior parte di noi è pronto per andare in vacanza e a un certo tipo di stampa piace tirare fuori i soliti discorsi sull'alpinismo di un tempo che non c'è più, sulle grandi montagne, sui grandi dell'alpinismo che anche quelli, secondo una certa stampa, non ci sarebbero più. Sì, come no. Anche le mezze stagioni, non ci sono più.

Noi - dico noi che siamo o ci sentiamo alpinisti - l'Everest lo pensiamo come un santuario o come un museo, come un luogo sacro e supremo dove fare risiedere tutte le idee e i sentimenti migliori che abbiamo rispetto all'alpinismo e alla wilderness. Lo sentiamo un po' tutti come il vertice di tutte le montagne, come la montagna delle montagne e in un certo senso lo è, l'Everest. E' un simbolo. Forse però, mettendo da parte per un attimo i luoghi comuni e le pretese dovremmo iniziare a pensare che l'Everest è un simbolo per l'umanità, non solo per gli alpinisti e che, tanto per cominciare, non è mica roba nostra ma è una montagna del Nepal e spetta forse ai nepalesi, insieme agli altri ma un po' prima degli altri, decidere cosa farne.

E' ora forse di diventare più tolleranti e concentrarsi sulle cose che contano davvero, sulla sicurezza, sulla salvaguardia e la preservazione dell'ambiente, sulla sostenibilità delle spedizioni e della vita nel Khumbu e potremmo tranquillamente abituarci a pensare che per un mese e mezzo all'anno l'Everest è un luogo in cui fare "turismo alpinistico". Così è già da quasi vent'anni, in effetti. Questo ci consentirebbe oltre che di aiutare il Nepal e i nepalesi di concentrare gli sforzi sui restanti 10 mesi e mezzo dell'anno, a totale beneficio di chi l'Everest lo vuole puro e libero dal turismo, simbolo dell'alpinismo. Per chi vuole la solitudine e la montagna così come era, cento o mille anni fa, c'è sempre il periodo i post-monsonico, c'è l'inverno, ci sono tante altre vie da fare, senza ossigeno se uno è forte abbastanza, e ci sono gli altri versanti. Non facciamo turismo noi, sulle Dolomiti Patrimonio della Umanità o intorno al Monte Bianco, con gli impianti di risalita, con le moto, le auto, con le costruzioni, con le strade, con gli elicotteri, insomma con tutto?

Quello di chi tenta l'Everest in primavera, guidato, è in un certo senso un un turismo d'elitè e non è esente da pericolo, per certi è un turismo avventuroso e per certi altri è banale, scontato ma insomma in definitiva, nel 2014, l'Everest è anche di queste persone qui. Un po' come le maratone, che non appartengo mica soltanto di quelli forti che corrono sotto le 2h10'. Alcuno dicono che non senso correre una maratona in più di 2h10', il record del mondo è fissato a 2h03'23. Altri dicono che non ha senso correre una maratona in più di 2h30'. O in più di 3h00. O 3h30'. O 4h00' insomma ognuno, a proprio piacimento, arbitrariamente, fissa la linea del legittimo e dell'illegittimo, del giusto e dell'ingiusto come gli fa comodo.

A me non pare sia questo il modo più intelligente di guardare al problema. Tolleranza, questa mi sembra la parola chiave. E l'etica, quella, i principi, i valori a cui ispirarsi, i simboli, meglio metterli nelle cose che facciamo piuttosto che nelle cose di cui discutiamo. Perché io gli alpinisti - e gli uomini - che ammiro, quelli che mi hanno ispirato e che secondo me hanno fatto la storia, l'etica gliel'ho vista sudare dal polpastrelli, dalla fronte, gliel'ho vista tracciare nella neve fonda, sulle creste, sulle grandi pareti con le grandi vie. Dei grandi alpinisti che ho avuto la fortuna di conoscere che tra loro parlavano di "etica" tanto per parlarne, non ho mai visto nessuno.

L'etica a me, ai grandi alpinisti, sembra soprattutto di avergliela vista praticare.

E' per questo che secondo me erano e sono dei grandi uomini, perché più che dire agli altri cosa bisogna fare, nel rispetto di tutti, tollerando tutti, hanno fatto e fanno vedere al mondo la loro idea. E' di questi uomini che l'alpinismo e anche l'Everest e anche il Nepal hanno bisogno.

Di quelli tolleranti che parlano con l'esempio.

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