domenica 11 maggio 2014

GIRO DI BOA.

Gli alpinisti della mia generazione sono cresciuti leggendo il libri e immaginando quello che succedeva sulle grandi montagne. Erano gli alpinisti in prima persona una volta a raccontare al rientro delle loro spedizioni, con i libri o con le conferenze, la loro avventura. Raccontavano il loro punto di vista, la loro storia e lo facevano con calma, in un secondo tempo da casa, quando tutto era finito. A bocce ferme. 

Poi con i telefoni satellitari e la facilità con cui grazie a internet e ai mezzi digitali si può comunicare, fotografare, filmare e condividere mostrando istantaneamente quello che succede su ogni montagna del pianeta, da un certo momento in avanti abbiamo avuto la sensazione che tutto fosse vicino e a portata di mano e di non avere più bisogno dell'occhio e del cuore di qualcun altro che ci raccontasse al suo rientro che cosa aveva visto laggiù. Per colpa di questo, per questa idea che ci siamo fatti che tutto avvenga in un infinito "qui e ora" che è ovunque, ci siamo convinti di non avere più bisogno che l'esperienza umana venga filtrata e rielaborata attraverso gli occhi e il sentimento di qualcun altro. 

Passata l'euforia tecnologica iniziale improvvisamente tutto ha cominciato a sembrarci piatto e banale, scontato, a portata di mano, tanto vicino da apparire privo di senso o poco importante, perfino noioso. Forse anche perché gli alpinisti non erano ancora pronti a raccontare in quel modo, in diretta, senza filtri e noi non eravamo più disposti ad ascoltare. Volevamo soprattutto "vedere" e a nostra volta "dire" usando in prima persona, senza filtri, gli strumenti che ci consentivano e che ci consentono di comunicare. Internet, i blog, Facebook, twitter, tutto. Un certo tipo di alpinismo che non tutti fanno e che a meno di essere un protagonista non si può fare altro che farsi raccontare ha, a un certo punto, perso la sua magia, la sua aura. 

I protagonisti, gli alpinisti, alcuni, da autorevoli hanno cominciato a diventare soltanto celebri e noi abbiamo finito per accontentarci e per smettere di essere curiosi e sensibili, attenti, critici. Cosa più grave di tutte ci siamo fatti l'idea di non avere più bisogno dei giornalisti o degli scrittori o degli inviati, di un punto di vista esterno, ci siamo convinti di non avere più bisogno di quelle persone che con fatica da un certo luogo, dalle montagne e dai campi base dove è scomodo o difficile o pericoloso andare e restare ci raccontavano in prima persona cosa stava succedendo, cosa era successo e cosa stava per succedere. Per essere risvegliati dal nostro torpore, per rimanere attenti almeno per qualche minuto su un certo argomento abbiamo cominciato a dover essere intrattenuti, anziché informati. 

Li' sono cominciati i problemi. E' stato quello il momento in cui siamo partiti per la tangente e guardando film di montagna o brevi clip on-line che hanno la stessa qualità cinematografica di un film di Hollywood, è facile rendersene conto, abbiamo cominciato ad andare in confusione. Abbiamo finito per dimenticarci delle storie e della sostanza, della realtà, dei fatti, della necessità nell'alpinismo e nel mondo dell'avventura, prima di tutto, di documentare. 

Abbiamo finito per confondere il vero con il verosimile e abbiamo cominciato ad accontentarci, a smettere di farci domande. Per fortuna c'è ancora chi questo mestiere di raccontare lo sa fare e ha voglia di farlo, io sono ottimista, siamo a un punto di svolta. Io dico che siamo al giro di boa. Siamo al punto in cui le storie di montagna, di alpinismo e di avventura da raccontare tornano ad essere importanti, tornano a essere il cuore delle cose che vogliamo sapere. Torna ad essere importante l'autorevolezza, l'obiettività, l'indipendenza, la capacità narrativa di chi ci racconta. Tornano ad essere importanti i fatti e le notizie. Tornano ad essere importanti gli uomini. Torna ad essere importante la qualità. Torna ad essere indispensabile essere autorevoli. 

Mentre i nostri giornali italiani pubblicavano notizie sulla sciagura dell'Everest per sentito dire e mostrando una valanga di repertorio che niente aveva a che vedere con i fatti e che non proveniva nemmeno dal versante giusto, il New York Times lavorava a questo. Che nel suo genere, nel suo piccolo, è un capolavoro. 

Vi consiglio di guardarlo.


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