venerdì 16 maggio 2014

PIANO CHE SI SCIVOLA.

Le gomme scivolano per via della salsedine. Ieri io sono già caduto, quindi meglio andare adagio. Faccio la curva con prudenza cercando di non inclinarmi troppo poi c’è un rettilineo, ne percorro una decina di metri lentamente, poi spalanco il gas. Spalanco, si fa per dire. Quello che sto guidando è uno scooter greco da 50 centimetri cubici preso a noleggio. Velocità massima 60 kilometri orari, ruote da 12”. Kalymnos, settembre. Fa parecchio caldo.


Alla fine del rettilineo c’è un altra curva, lo scooter viaggia con il motore al minimo, rallento e freno cercando di non bloccare la ruote, prima di impostare la curva mi volto indietro un’altra volta per guardare. 


Dov’è Denis? 

La strada è deserta.


Curvo prudentemente inclinandomi il meno possibile, raddrizzo e continuo andando a passo d’uomo, Denis non arriva. Strano, però. La strada davanti a me è di nuovo dritta c’è un altro rettilineo un po’ in salita, non resisto al desiderio di aprire il gas un’altra volta. Mi piace quella sensazione della moto che accelera e quel rumore.  


Maaaaaaaaaahhhmm. 


Apro tutta la manetta del gas. Lo so che è pericoloso e che l’asfalto scivola e che è pieno di buche, so che non dovrei, però lo faccio lo stesso. Accelero. Maaaaaaaaaahhhmm. Percorro un centinaio di metri e poi rallento di nuovo e mi fermo a bordo strada. Denis: o è caduto, o ha sbagliato strada, impossibile non arrivi ancora. 


Aspetto. Il motore gira al minimo, c’è quel tan tan tan tan tan metallico del pistone, forse bisognerebbe aggiungere dell’olio. Sicuro. Il sole di fine settembre mi batte sul casco e sulle spalle, c’è una brezza leggera che viene dal mare che non è ancora vento, è solo brezza, io sono già sudato anche se sono solo le nove del mattino e a parte una colazione giga a base di yogurt greco e miele, non ho ancora fatto niente per cui dovrei essere sudato. 


Le cicale cantano. 

I fili d’erba secca a bordo strada oscillano rigidi nell’aria. 


Denis non arriva, che faccio? tan tan tan tan tan, Maaaaaaaaahhmmm apro il gas, attraverso la strada in curva facendo inversione di marcia e sfiorando l’asfalto con il piede torno indietro, vado a vedere. Svolto oltre la prima curva e Denis non c’è ancora, proseguo. Arrivo quasi in fondo al secondo rettilineo, appena sto per svoltare dietro alla prima curva eccolo che compare. Va pianissimo, con uno sguardo diligente e guidando con una meccanica di curva, con una geometria delle traiettorie che mentre lo vedo penso debba necessariamente essere una meccanica di curva tutta sovietica. Russa. Inesorabile, inconsueta, squadrata.


My friend Denis Urubko

 

Nemmeno per un secondo ho la sensazione che sia una bella curva, quella di Denis, dinamica o elegante. Non ho mai sentito parlare di un grande pilota di motociclismo russo, in effetti. Di grandi alpinisti russi, sì. Abalakov, Bouckrev, Bolotov, Samoilov. Urubko, appunto. Altrettanto, nemmeno per un secondo ho la sensazione che Denis possa cadere da quello scooter, perlomeno non a causa della velocità o per perdita di aderenza. Potrebbe cadere per perdita dell’equilibrio forse, tanto va lentamente. Denis è sistemato in sella come se fosse un blocco unico con il telaio della moto. Le punte dei piedi e dei calzini bianchi e dei sandali sbucano a lato delle pedane. E seduto come ci si siede sull’autobus quando si tiene uno zaino in spalla e si è in attesa della fermata a cui bisogna scendere, in punta al sedile. Fa ridere Denis con il casco di una taglia più grande in testa, ma su quello è meglio che io non dica niente, ne porto uno uguale identico. Sembro un cretino. Denis mi sorride con gli occhi azzurri distogliendo solo per una frazione di secondo lo sguardo dalla strada, poi continua dritto. Non si ferma. Io faccio di nuovo inversione di marcia e lo seguo. Lo affianco e lo sorpasso di nuovo fino in fondo al rettilineo e poi curvo a destra, c’è una salita ripida sul cemento poi la strada si fa sterrata, proseguiamo lentamente fino al parcheggio sotto la falesia di Odissey, Denis rimane ancora indietro, poi arriva. 


Parcheggia. 

Spegne. 

Tira la moto sul cavalletto, mettiamo via i caschi e preso lo zaino e la corda cominciamo a salire per il sentiero. 


“Scusa, Emilio - mi dice in un buon italiano, Denis vive in Italia vicino a Bergamo per qualche mese all’anno - io in moto vado muolto piano. Pericuolo” 


“…” 


“ Ho promesso a mia moglie quando noi due sposati che non farò mai più due cose: una è scalare di nuovo K2 e altra cosa è guidare moto. Due cose molto pericuolose. Pericuolosissime.” - mi piace come Denis usa gli aggettivi.  


Pericuolosissiume” rimarca parlando con il suo accento russo che stringe tutte le o e le mescola con le u


Il termine pericolosissimo, comunque, usato da uno che viene considerato uno dei più forti Himalaysti di tutti i tempi, uno che ha scalato tutti i 14 ottomila della terra senza ossigeno, due in inverno, cinque per vie nuove, uno che è stato candidato al Piolet d’Or per 5 volte vincendone due, ha un significato particolare, difficile da comprendere per me. Il fatto che Denis classifichi come “molto pericoloso” un trasferimento di cinque chilometri in scooter 50cc su un isola greca semideserta è quantomeno bizzarro. Mi fa pensare.


“Denis, le nostre non sono della moto - gli dico – sono degli scooterini del cacchio da 50cc. ”

  

“Si , ma è pericuoloso ugualmente” intanto guarda le abrasioni aperte sulla mia gamba e sul mio braccio. Anche io le guardo, con il sudore e il sole poi brucano tantissimo. Io ieri sono caduto. Che idiota.


Arriviamo alla base della falesia di Odissey e la costeggiamo per un tratto guardando all’insù fino ad arrivare al nostro settore. Ci imbraghiamo, cominciamo ad arrampicare.


“Emilio, tu prima”. 


Vado. Salgo, catena, mi calo, tocca a Denis. Denis non è particolarmente elegante o aggraziato nel muoversi sulla roccia, non è molto fluido ma ha una efficacia, un consistenza arrampicatoria straordinaria. Quello che è in grado di fare qui, in falesia, con le protezioni relativamente vicine e le scarpette d’arrampicata ai piedi, Denis è quasi in grado di farlo in montagna, a 8000 metri, con gli scarponi doppi. 


A pensarci bene direi che è questo il suo vero talento: riuscire a essere nell’arrampicata e nell’alpinismo quello che è nella vita di tutti i giorni. Denis è una persona generosa – forse la più generosa che conosco - caparbia, determinata, entusiasta, appassionata, che non lascia mai nulla di intentato e che allo stesso tempo non da nulla per certo o per scontato. Uno che si sa ancora sorprendere delle piccole cose e gode di ogni momento, anche quelli che noi consideriamo tempi morti o non-tempo, la transizione tra una cosa che stavamo facendo prima e una che faremo più tardi. 


Denis è uno che sa dire grazie a chiunque, senza imbarazzo e senza vergogna. 


“Vuoi?” dopo averlo calato mentre mi preparo ad arrampicare per il mio turno mi offre un succo di frutta  mirtillo-lampone che sta dentro a una gigantesca bottiglia da tre litri. Non esattamente una confezione comoda da portarsi nello zaino. Ne bevo un po’. Non ha un sapore buonissimo, anzi fa proprio schifo, in più è calda. E credo che se la stia portando dietro da almeno tre giorni. 


“Buona, no?” mi dice con un entusiasmo e una gioia fuori dal comune. 

“Buona, sì” - dico io - “Buona”.


Denis oggi quando salivamo lungo il sentiero ha voluto a tutti i costi prendere sulle spalle la sacca con la mia corda da 80 metri “Tu leader di spedizione oggi, io soltanto seguo” ha detto mettendosi la corda a tracolla, non c’è stato verso di tenermela in spalla. Mi viene da ridere. Denis è quasi certamente l’Himalaysta vivente più forte della nostra epoca, è un alpinista famoso in tutto il mondo, e io oggi in falesia a Kalymnos sono il suo capo spedizione. 


“Denis, mi prendi per il culo?” rido. 


Denis è serissimo, invece. “Oggi tu comanda”. 


Arrampicavo bene tanto tempo fa quando facevo solo quello, adesso faccio forse un grado e mezzo più di lui in falesia. A volte. E mi dice convinto che sono il suo capospedizione. Certe volte addirittura mi chiama "maestro di uso di piedi", seriamente. Non scherza mica. Denis adesso è senza maglietta e a piedi nudi in cima a un grande sasso, in mano tiene la bottiglia di succo di frutta da tre litri ai frutti di bosco. Beve e respira a pieni polmoni guardando verso Telendos. 


“Non c’era una bottiglia più grande?” chiedo ironico. “No” mi risponde serio. Non hanno ironia, io penso, in Russia. Prendono sempre tutto così maledettamente sul serio. Poi dopo qualche secondo si mette a ridere anche lui. 


“Era in offerta speciale, è buonissimuo, bevi ancora un po’, Emilio.” 


Prendo la bottiglia e ne bevo un sorso. E’ ancora più calda di prima ed è un po’ acida, gli riconsegno la bottiglia in mano facendo la faccia di uno che ha appena dato un morso a un limone acerbo. 


“Sorry Emilio. But it’s good for Energy. We need energy.”


You need energy in these days, Denis. Fai attenzione al Kangch. Mi raccomando.


‪#‎kangchennorth


Denis è un mio amico ed è anche il mio himalaysta preferito. E’ il mio eroe, se io fossi adolescente avrei un suo poster appeso sopra al comodino nella mia stanza. Alcune salite della sua carriera mi hanno lasciato senza parole come le nuove vie aperte con Serguey Samoilov sulla parete Sud-Ovest del Broad Peak, nel 2005 o la via nuova sulla parete Nord-Ovest del Manaslu nel 2006 o la salita al K2 lungo la North-West Ridge in ottobre, prima e unica volta nella storia che qualcuno è arrivato in cima al K2 in autunno; oppure ancora il capolavoro di via aperta nel 2009 sulla parete Sud Est del Cho Oyu con Boris Dedeshko. Salite leggendarie. Quando è in Italia e sta ad Albino io e Denis ci alleniamo spesso insieme in falesia. 


In questi giorni Denis è al Kangchenzonga a tentare un’altra delle sue incredibili vie. Tra qualche giorno tenta la cima. Probabilmente domenica 18 maggio. Io sono qui che lo seguo e aspetto. Lo penso e nel frattempo mi alleno in bici.  



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