lunedì 5 maggio 2014

QUO CLIMBIS? L'ALPINISMO DEL FUTURO

Ieri mi hanno invitato a parlare al Castello di Fimiano a Bolzano ad un incontro organizzato da Reinhold Messner. Era un convegno dal titolo Quo Climbis? e il tema era "Dove va l'alpinismo del futuro?".

E'  stato molto bello-e-interessante parlare e ascoltare e come sempre succede quando si fanno incontrare e parlare delle persone in gamba-e-interessanti, si sono dette e si sono potute ascoltare cose molto belle-e-interessanti. Di quelle cose belle-e-interessanti è inutile che ve ne parli perché se volete, credo fra qualche giorno, potrete ascoltarle in qualche videointervista bella-e-interessante che abbiamo fatto appena dopo il convegno. In questi incontri è tutto così bello-e-interessante che credo che ogni tanto bisognerebbe riuscire cogliere cose marginali e poco interessanti non che qualcuno dei relatori dice ma che magari, senza che nessuno se ne accorga, succedono. Ecco, qui ce n'è una ad esempio. E' una cosa che ho visto succedere.  Ed è una cosa che secondo me, anche essendo una cosa non interessante, ha molto a che vedere con l'alpinismo del futuro. Per questo l'ho scritta. 

Eravamo tutti lì in piedi in semicerchio in mezzo al cortile del Castello di Firmiano, ieri, in attesa di cominciare la conferenza, c'era il sole e si stava bene. Il castello è bellissimo. Dentro al castello c'è un museo e oltre a noi invitati e oltre ai giornalisti venuti per la conferenza c'erano dei visitatori che giravano. Turisti tedeschi, famiglie, bambini, tutti un po' sorpresi di essere lì al Messner Mountain Museum e di trovare dentro al museo proprio lui Reinhold Messner in persona e un sacco di altri alpinisti. Alla mia destra c'era Honnold e stavamo parlando, e a un certo punto tra noi due si infila qualcuno, ci giriamo entrambi e in basso tra le nostre gambe passa un bambino molto piccolo con uno zainetto in spalla che nelle mani stringe una penna e una cartolina con sopra una fotografia di Reinhold Messner da fare autografare, cammina deciso verso Reinhold che è un paio di metri alla mia sinistra. Arriva da lui e lo chiama tirandogli l'orlo della giacca. Reinhold abbassa lo sguardo e lo vede, lui il bambino solleva le braccia e senza dire una parola gli mostra la penna e la cartolina, allora Reinhold prende penna e cartolina e stando appoggiato sulla sua coscia firma un autografo. Mentre scrive chiede al bambino Quanti anni hai? e il bambino fa segno con la mano spalancando le dita e dicendo Cinque. E' coraggioso questo bambino - dice Messner cercando con lo sguardo i genitori, che sono alle mie spalle - di solito i bambini hanno paura di me. Il bambino è lì in piedi in centro al semicerchio che fissa Reinhold dal basso in alto, in paziente attesa del suo autografo. In silenzio. Imperterrito. Fanno bene ad avere paura di me questi bambini - continua Reinhold alzando un po' la voce - perché io ogni tanto me li mangio, i bambini. Silenzio glaciale. Però oggi no, oggi sono buono, non ho fame. Il volto duro di Messner e i suoi occhi azzurri si aprono in una risata. Tutti gli alpinisti che sono lì in piedi intorno ad ascoltare hanno prima la sensazione di non avere capito bene le sue parole - gli alpinisti hanno poca dimestichezza con i bambini - e poi a scoppio ritardato iniziano a ridere, il bambino invece ha capito benissimo subito, istantaneamente. Ha già fatto un mezzo passo indietro tanto per cominciare, non si sa mai. E' lì ancora che allunga le braccia e le mani verso Messner che nel frattempo finisce di scrivere la dedica, poi gli consegna la cartolina nelle le mani. Lui prende la cartolina con una mano e con l'altra sempre tenendo il braccio e la mano per aria, rimane lì in attesa ancora di qualche cosa. Allora Reinhold allunga la sua mano per prendere quella del bambino e per stringerla in segno di saluto, come fanno i grandi e il bambino si ritrae, sposta la mano a lato di qualche centimetro. Reinhold tenta di nuovo di prenderla e di stringerla quella manina, è una manina piccola e paffuta, anche il bambino è piccolo e paffuto e perfino il suo zaino arancione è piccolo e paffuto, il bambino un altra volta si allontana con la mano. Stessa scena due o tre volte. C'è qualcosa che Reinhold non capisce, credo che ogni giorno sia costretto a firmare decine o centinaia di autografi, scattare decine o centinaia di fotografie insieme a persone più o meno sconosciute e stringere decine e decine di mani di uomini e di donne che vogliono poter dire di averlo conosciuto. Questo bambino rifiuta la sua stretta di mano, eppure dopo avere ricevuto una cartolina autografata è lì ancora con la mano e il braccio per aria in attesa di qualche cosa, nessuno capisce cosa. La penna, dice. La mia penna. Il bambino sfila la penna biro dalle dita di Reinhold e veloce senza stringergli la mano se ne torna da dove è venuto, passando di nuovo tra Honnold e me. Tutti lì intorno ridono, anche Reinhold ride, più di tutti. I genitori chiedono ad alta voce al bambino quasi in segno di scusa Hai detto grazie, almeno? Il bambino dopo essersi accertato di essere a distanza di sicurezza da Messner, vicino al papà e vicino alla mamma, tenendo in una mano stretta la penna e nell'altra la cartolina autografata dice: Grazie. Con un filo di voce.

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