venerdì 13 giugno 2014

IL TIPO DEL RECORD DEL MC KINLEY.

Sono lì, in piedi fuori dalla tenda che guardo in alto, verso il Couloir Messner e verso la cima del McKinley. E' mattino e mi sono appena svegliato, c'è il cielo sereno ma fa freddo e si capisce che in alto c'è vento. Forte. Sono al campo casa a 4400 metri. Le nuvole corrono veloci. Intanto che sono lì che mi guardo in giro con le mani in tasca e gli scarponi slacciati sento Conrad e alcuni miei compagni di spedizione e i rangers parlare tra loro. Ridono e fanno battute, ironizzano, con quell'aria da siamo-tutti-amici che hanno sempre gli alpinisti ai campi base delle grandi montagne, dandosi delle grandi pacche sulle spalle con quelle manone grandi. Noi europei abbiamo delle mani più piccoline. Io, perlomeno.

Stanno lì fuori dalla tenda comune, ciascuno con la propria tazza di caffè in mano. Capisco dalle loro parole che mi arrivano a tratti che c'è uno che sta salendo da solo dal Kahlthna Glacer con gli sci, che vuole tentare di andare in cima al McKinley da solo, no-stop. E' partito ieri sera. Allora mi avvicino e chiedo di chi si tratti ma non mi sanno dire il nome, mi dicono solo "Un tedesco a cui manca qualche rotella." Non dico niente ma tra me e me penso Sarà un tedesco ben allenato che sa cosa vuol dire andare in giro leggeri, con gli sci leggeri, gli scarponi leggeri e lo zaino leggero. Mica come voi che andate in giro con degli sci che pesano una tonnellata e degli zaini da cinquanta chili pieni di non so cosa. Cerco di capire a che punto è il tipo andando alla tenda dei ranger e chiedendo informazioni, loro lì hanno le radio e sono collegati con gli altri campi in basso e mi dicono che è ancora abbastanza lontano, sulla Motorcycle Hill, è partito ieri sera e ha camminato tutta la notte. Allora torno alla tenda e penso che c'è ancora qualche ora. Faccio i miei calcoli, sta salendo un po' più veloce di quanto sono salito io però non si è fermato a dormire. Non ha assistenza e ha solo un piccolo zaino in spalla, così mi hanno detto. L'ironia e le battute tra tutti al campo si sprecano, a me invece il tipo risulta da subito simpatico, anche se non lo conosco. Simpaticissimo.

Preparo la mia roba, gli sci, le pelli e lo zaino, mi vesto, faccio scaldare l'acqua e preparo una thermos grande di the caldo, prendo delle bustine di maltodestrine in gel e dei pezzi di pane al miele, li metto in una busta di plastica e le infilo nello zaino. Vado a dire agli altri che vado a farmi un giro, mi dicono che loro no, non vengono, oggi resteranno lì al campo a riposare.

Bene, bravi. State qui.

Me ne vado per conto mio e non mi dispiace neanche un po', mi metto gli sci e incomincio a scendere. Molto prima di Windy Corner vedo uno da solo che sta tagliando in diagonale sotto la parete e che sta venendo su, abbastanza veloce. E' all'ombra della parete. E' lontano ma per quello che vedo ha uno zaino abbastanza piccolo. Uno zaino strano, più che uno zaino mi sembra che trasporti una palla, sulla schiena. Allora mi fermo al riparo dal vento e aspetto, senza togliere gli sci. E' pieno di crepacci intorno. Apro lo zaino e lo deposito in mezzo alle gambe e tiro fuori la thermos e tutto il resto. Il tizio sale, è finalmente uscito al sole e immagino che si stia finalmente godendo un po' di tepore e di calma di vento, qui sopra il bacino del ghiacciaio è un po' più protetto, l'aria è più ferma. Windy Corner, giù sotto, si chiama così mica per niente. Il tipo si avvicina, sale dritto verso di me lungo la traccia, lo vedo da lontano ed è vestito in un modo che definirei quantomeno bizzarro. La prima cosa a cui penso, mentre lo vedo, è che mi sembra un benzinaio di Livigno, non uno skyrunner. Ha un cappello con visiera in pile viola e arancione, dei pantaloni di pile circa dello stesso colore e una specie di giubbino a vento, una cosa a metà tra una giacca da sci degli anni '80 e un duvet da alpinismo. Ai piedi ha un paio di vecchi SkiTrab Piuma montati con l'attacchino e gli scarponi sono dei vecchi Dynafit, quelli verdi. Quelli degli anni '90.

Siamo nel 2011, questo non lo avevo ancora detto.

Mi arriva vicino e io ho la thermos pronta in mano con una tazza di the fumante già versato,  glielo porgo, lui passa e mi guarda ma non accenna a fermarsi. Faccio un inchino con la testa senza dire niente, per lasciare parlare prima lui. Gli guardo lo zaino, è uno zaino Seven tipo quello che mio figlio usava per andare a scuola alle elementari. A forma di palla. Ha rallentato ma non dice niente, forse anche lui aspetta che sia io a dire qualcosa per primo, allora dico ad alta voce, in italiano: Buongiorno. Allora lui si ferma. Fa un lungo respiro.

Un sospiro, più che altro.

E' fermo in piedi davanti a me, poco più a monte, gli sci paralleli appoggiati piatti a terra in modo che le pelli facciano presa. Lascia penzolare i bastoncini da fondo con il lacciolo sui polsi e tiene lo sguardo dritto davanti. Come va? gli chiedo io. Lui risponde qualcosa in tedesco, io non capisco. Ha della saliva bianca rinsecchita agi angoli della bocca, uno spesso strato di crema solare in faccia, la barba non fatta. Allora passo all'inglese, nel frattempo gli allungo la tazza di thè, lui prima di prenderla mi guarda attraverso quella sottile fessura tra la visiera del berretto e il bordo superiore degli occhiali. Sono occhiali Briko a forma di mosca simili a quelli che usava Chiappucci. Chiappucci il ciclista, dico. Riparte con il tedesco, poi si rende conto che io non capisco niente e passa a un inglese stentato. Come sono le previsioni del tempo? mi chiede. Buone, dico io, ma in alto c'è vento. Vento forte. Alza lo sguardo verso la West Buttres, le nuvole viaggiano, io intanto gli verso un'altra tazza di the, gliela passo. Lui mi guarda di nuovo attraverso la fessura tra occhiali e berretto, prende la tazza e beve di nuovo.

Entshuldigen.
Io annuisco e sorrido.

Gli faccio vedere i gel energetici e il pane al miele che tengo sul palmo della mano e lui scarta i gel e prende il pane. Addenta una fetta. Poi beve un'altra tazza di the. Mi dice che è stanco, si leva gli occhiali e vedo che ha gli occhi acquosi, liquidi, arrossati dal sole, dalla notte insonne e credo dal sudore. Gli chiedo i suoi programmi e mi dice che vuole proseguire verso la cima. No-stop. Ci mettiamo a parlare un po' di come prosegue la via di salita e io gli dico che secondo me fino all'ultimo campo può salire al riparo dal vento, sopra non so. Mi metto gli sci con le pelli già pronte che nel frattempo avevo montato e riprendiamo a salire. Lo piloto alla tenda dei Rangers in modo che possa parlare un po' con loro e farsi dire le previsioni del tempo, e magari anche conoscere di persona. Arriva, si piazza davanti alla tenda dove tengono la radio - fuori c'è una grande antenna - e si mette a chiacchierare con un ranger, uno di quelli di stamattina. E' più gentile adesso, il ranger. Meno fenomeno. Io faccio un po' da tramite e dico quello che ha fatto finora questo signore sulla cinquantina salendo non stop dalla base, ripeto quello che mi ha detto, poco per la verità. Dico che gli ho dato da mangiare e da bere e che mi sembra stanco ma in grado di proseguire, stamattina sentivo parlare dell'idea di bloccarlo. Perché, bloccarlo? Si convincono che proprio stupido, il signore lì, non deve essere. Forse un po' bizzarro.

Gli chiedono dell'acclimamento, come pensa di andare a 6194 metri senza acclimamento? Lui dice che l'acclimamento l'ha fatto nelle ultime tre settimane in Bolivia, si è allenato in altura e ha dormito una settimana a 6100 metri, poi è venuto qui. Da solo.

Ah.

Quando sento questo signore dire queste cose provo un sottile piacere, una gioia intima, un senso di connessione e di amicizia istintiva. Questo uomo, così apparentemente fuori posto e sprovveduto è invece così forte. Così determinato. Così folle e coraggioso, nel senso giusto del termine. E' abbigliato in modo strambo, quello sì, ma cosa c'entra? A me è simpatico. Mi ha anche detto che è un atleta, un triathleta, anche io sono triathleta, gli dico. Ho gareggiato a Roth, Ironman, dice lui. Anche io. Dieci volte. Mi sorride. Sorrido. Parlando di fatica ci intendiamo. Provo un desiderio profondo di aiutarlo questo signore, so che vuole fare tutto in autonomia ma cerco di fargli capire che se ha bisogno di qualcosa, anche di un posto in tenda per dormire, può contare su di me. Mi guarda e annuisce con la testa, ma mi fa capire che non ha bisogno di niente. Vado alla mia tenda, al mio campo, a dire che "Il tedesco che vuole salire in cima al Denali no-stop è alla tenda dei rangers". Se lo volete conoscere.

Nessuno tra quelli che ci sono lì è interessato a conoscerlo o a salutarlo. Stanno tutti leggendo sdraiati in tenda o ascoltando musica dai loro cazzo di ipod. Inculatevi. Esco dalla tenda con dei gel e con dell'altro the e torno dal tipo, gli porto anche della crema solare, è un po' scottato in faccia. Gli dico di tenersela, la crema, che a me non serve. Lui mi dice di no, ne spreme un po' dal tubetto e se la spalma in qualche modo sulla faccia. Light. Leggero. Mi fa capire a gesti, con quel movimento del palmo della mano girato verso l'alto che va su e giù, che vuole andare leggero. Rimane ancora un po' lì in piedi, senza sedersi e senza togliere gli sci, poi riparte verso sopra, da solo. E' il primo pomeriggio, è l'unico in movimento sulla montagna. Lo vedo fare delle zig-zag sul ghiacciaio con gli sci e poi toglierseli per risalire le corde fisse. Non sembra abbia un passo veloce, ma è inesorabile. Continuo. Inarrestabile. Mi rendo conto di non avergli nemmeno chiesto il nome, a questo signore e me ne vergogno.

Che idiota che sono.

Poi viene buio e l'ora di andare a dormire, prima di infilarmi nel sacco a pelo passo di nuovo dalla tenda dei rangers per sapere se hanno notizie. Il tipo è all'ultimo campo e ha appena deciso di fermarsi. E' stanco, è notte e c'è vento forte, fortissimo. Le previsioni per domani sono di neve. Non c'è altro da fare che fermarsi. Rimarrà nella tenda dei rangers a dormire, non ha nemmeno il sacco a pelo. Lui ha detto che voleva scendere subito fino a 2200m ma non lo hanno lasciato andare.

Questo signore qui, mica tanto giovane, di cui non conosco nemmeno il nome, in ventiquattro ore da solo, senza assistenza, con le sole proprie forze è andato dai 2200 metri del Kahiltna Glacier all'ultimo campo a 5200. Sono più di quaranta chilometri. Se avesse avuto condizioni più favorevoli probabilmente andava in cima. Ha coperto una distanza che le spedizioni normali impiegano tre settimane a compiere. Nella nostra spedizione ad esempio io finora sono il solo ad essere salito un giorno all'ultimo campo, a fare un giro con gli sci e a depositare del gas e una tenda, degli altri miei compagni non è ancora salito nessuno. Per dire. Siamo qui da più di due settimane. Vado a dormire pensando a quell'uomo che immagino sfinito a russare dentro a un sacco a pelo non suo. Mi fa tenerezza.

Il giorno dopo all'ora di colazione vado dai rangers e chiedo notizie e mi dicono che il tizio è già sceso, è passato di lì questa mattina all'alba e adesso è già arrivato alla base, oggi pomeriggio se gli aerei atterreranno sul ghiacciaio - non si sa, il tempo non è bellissimo - se ne andrà via. Ha lasciato detto ai rangers che lui era interessato alla salita no-stop unsupported e non alla cima. La cima non gli interessava. Ha lasciato detto anche di ringraziarmi e di salutarmi e ha detto di darmi un biglietto da visita con il suo nome e cognome, il suo indirizzo internet. Me lo danno. Un bigliettino giallo con le scritte rosse.

Questa mattina quando ho letto del record di Kiljan Jornet al Denali mi è venuto in mente di quel signore e sono andato a cercare il suo biglietto da visita. L'ho cercato per mezza mattina tra le mie cose ma non mi è saltato fuori, evidentemente l'ho perso. Che imbecille. Ho pensato che andava bene essersi dimenticato di chiedere il nome e avere perso il biglietto da visita, ma la sua storia, la storia del suo tentativo solitario di record no-stop al McKinley, nel giorno in cui tutti celebrano Kilijan almeno quella, la dovevo raccontare.

E così l'ho scritta.

    

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