giovedì 9 ottobre 2014

QUANDO SEI FUORI FORMA.

Quando sono tornato dal Nanga Parbat la primavera scorsa ero completamente fuori forma. Per uno che di mestiere non fa l'atleta o per uno che fa l'alpinista soltanto, che fa solo quella cosa e poi basta dico, è senz'altro è diverso. E' più facile convivere con il fatto di essere fuori forma. Se non sei un'atleta e non gareggi, se non ti confronti direttamente con gli altri o se fai l'alpinista soltanto la pura performance atletica è meno rilevante. Non conta molto quando sei in azione la pura performance, non è nemmeno misurabile esattamente pensandoci bene, una performance alpinistica. L'alpinismo non è neanche uno sport. Contano altre cose.

Ma se sei un atleta, se ti pensi un atleta è diverso e io più che alpinista mi sono sempre pensato e considerato un atleta.

Sono uno che nella grammatica delle cose che fa che hanno a che vedere con le montagne e con l'alpinismo, con l'endurance, con il tenere duro e con il resistere alla fatica - e con la tecnica anche, nello sci ad esempio - ci ha sempre visto la performance di mezzo. Ci ha sempre visto lo sport, quello misurabile in ore o minuti o secondi, in gradi, in metri o in centimetri o in chilometri all'ora e quindi inevitabilmente anche con la capacità di andare forte. Sempre più forte. Sempre meglio.

Bene, veloce, a lungo.

Mi sono sempre considerato e trattato da atleta nella vita di tutti i giorni e nelle scelte, nei progetti, nelle sfide da raccogliere. A me piacciono da matti le cose che non sono in grado di fare, quelle fuori dalla mia portata, quelle appena o un bel po' - dipende - oltre al mio limite. Quelle che gli altri ti dicono: "Non ce la farai mai." Ecco, quelle mi piacciono. Quelle mi fanno sentire vivo. Mi fanno sentire un principiante un po' sfigato e goffo, uno imbarazzante e fuori luogo. Un turiglione. Mi piacciono le sfide in cui parti perdente. Mi piacciono perché mi costringono a pensare e a capire, a osservare, a mettermi in gioco, a buttarmi e a re-inventarmi, a dare il meglio di me. La mia storia è fatta ad ogni livello, in ogni ambito, di cose che credevo di non essere capace di fare e che poi alla fine invece,  ho imparato a fare. A modo mio. Quasi sempre da testone autodidatta.

Due mesi e mezzo di spedizione invernale sono stati decisamente troppi per uno che vuole fare l'atleta, soprattutto per uno della mia età. Tornato a casa a marzo ho prima dovuto riposare e riprendermi, anche emotivamente, ricaricarmi mentalmente e fisicamente, i muscoli erano quasi tutti spariti in cambio di una massa budinosa e grinzosa, ero sempre stanco e sfinito, bastava il minimo sforzo. Ho ricominciato ad allenarmi in bici partendo praticamente da zero. Anzi, sotto zero.

Certe volte mi sentivo patetico e ridicolo, sarebbe stato certamente più facile mollare il colpo e celebrarmi per quello che sono stato, tanto o poco che fosse e reinventarmi facendo qualcos'altro di più comodo, di più prestigioso, di più adatto alla mia età. Sto invecchiando. Potrei limitarmi a commemorare. Celebrare. Ricordare. In fondo che cosa ho da pretendere?

Essere fuori forma, io credo, è una grande opportunità.

E' la possibilità di ricominciare da capo e in ogni inizio c'è qualcosa di magico e meraviglioso, di speciale, di straordinario. Essere fuori forma è un modo diverso di guardare al mondo. Dentro a ogni piccolo passo, dentro a ogni progresso c'è un piccolo successo, un mondo che si rivela, un viaggio. E' fantastico. E' stato fantastico. Non è la conquista del mondo quello di cui siamo alla ricerca, ma la riconquista di noi stessi. Non conta quanto si corre o si pedala veloce. Non conta il grado che fai. Non conta il tempo che hai sulla maratona.

Conta quella sensazione di poter fare sempre un po' di più, ogni giorno di più, ogni volta un pezzettino di più, sempre meglio. Conta quell'istante in cui stai per dire basta e invece, non sai neanche il perché, un bel giorno tieni duro e insisti. Riesci. Stai lì. Galleggi nel disagio fisico e nella fatica, nella sofferenza fisica e finisci per non sentire più niente, riesci a sopportare. Resisti. Vuoi capire cosa c'è dopo, oltre.

Quello è il momento in cui stai patendo ma quella sofferenza che si chiama fatica si trasforma in gioia e intorno a te si aprono delle porte che prima non vedevi neanche o forse non c'erano, compaiono e tu le apri e ci entri dentro e entri in un'altra dimensione, passi a un livello successivo. C'è un'altro te e un altro mondo oltre quelle porte, da qualche parte e ti vai a cercare e a riprendere.

Il tempo tra un allenamento e un'altro, quello in cui hai un po' male alle gambe o ai muscoli o alle ossa e sei in attesa della prossima volta, del prossimo momento in cui potrai essere nuovamente da solo con te stesso, diventa importante. Sacro. La cosa più importante di tutte. Quella che ti fa crescere. Non è più un'attesa o un tempo morto, quello tra un allenamento e un altro.

E' un intervallo. Un momento di attesa e di rielaborazione. Speciale.

Quando sei fuori forma non lo sai nemmeno più dove puoi arrivare, quali sono i confini del tuo essere. Te ne sei dimenticato e il tuo corpo budinoso e flaccido e la tua mente e a volte anche quelli che hai intorno ti suggeriscono di andare avanti così, di adeguarti, che va bene lo stesso. Ti dicono di mollare, di non insistere, di non sforzarti. Che tanto è lo stesso. Alla tua età, poi.

Alla tua età un cazzo. Allenarsi è il modo migliore che conosco per ricordare. Ricordarmi di me.

Due fine settimana di bici ancora, forse tre. Un paio di gare a cronometro. Sono al massimo della mia forma, mai andato così. Poi metterò via la bici e verrà il momento di tirare fuori gli sci. Seriamente. Continuamente. Di nuovo quella sensazione bellissima di essere un principiante allo sbaraglio, alla prima discesa. Quella sensazione di inadeguatezza che poi a me, sulla neve, purtroppo passa quasi subito. Quest'estate non ho quasi sciato. Ora l'inverno è alle porte e bisogna darci sotto. Con il telemark.

Che per colpa del Nanga Parbat l' inverno scorso sono rimasto indietro di una stagione.

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